Siamo vittime di un incantamento. Marx parlava di “feticismo della merce” per descrivere una dinamica che rende cose le persone e persone le cose. Dinnanzi a un prodotto qualsiasi, è facile vederlo come qualcosa di “a se stante”, perdendo così la percezione dei rapporti sociali e di sfruttamento che sono dietro alla sua realizzazione. Tutta la vita dentro le coordinate del tecno-capitalismo viene catturata da logiche astratte e al contempo magiche, se per magia (nera) intendiamo l’influenzamento delle persone al fine di asservirle e separarle da loro stesse e dalle relazioni che le tengono in vita.
Alcuni anni fa, in ambito filosofico, si è proposto – con un gesto che sfidava il razionalismo piatto di un certo pensiero critico contemporaneo – di far fronte alla “stregoneria capitalista” immaginando pratiche alternative di vita e di politica che liberassero la nostra umana facoltà di immaginare altrimenti. Necessario è entrare su questo terreno se vogliamo che l’opposizione al sistema non rimanga subalterna alla visione del mondo del suo avversario. La potenza di penetrazione nelle nostre esistenze di parole come “crescita” e “profitto” va riconosciuta per sviluppare un orizzonte di valori, ma anche di modi di essere e di relazionarci, che dia senso alle nostre vite, che alluda a una felicità possibile e a un divenire creativo.
Chi trascura la rilevanza dei simboli, del sacro e dell’immaginario è destinato a perdere la partita con il potere. Lo stesso accadrà se non riusciamo a offrire, a chi soffre per l’insostenibilità del presente, motivi profondi per lottare. La prospettiva di una società della cura è interessante e feconda proprio per il suo tentativo di sviluppare un’idea di convivenza e di partecipazione credibile e mobilitante. È una via con un cuore, insomma, parafrasando un celebre detto di Carlos Castaneda. E la cura, deve essere chiaro, va di pari passo con alcune prese di posizione inequivocabili. Qui ne posso ricordare solo alcune: l’obiezione di crescita e la messa in discussione dei vecchi indicatori di benessere sociale e individuale, la difesa dei beni comuni, la promozione del dialogo tra culture e cosmovisioni diverse, l’alleanza tra generazioni, una spiritualità ecocentrica, il principio di precauzione rispetto alle innovazioni tecnologiche, il controllo democratico sulle fonti informative, l’accoglienza verso chiunque versi in condizioni di bisogno.
Chi saprà muovere i suoi passi all’incrocio tra poesia e ragione, passione e misura, potrà incarnare quella trasformazione giusta che auspichiamo per le future generazioni. Si tratta in fondo di testimoniare qui e adesso quella liberazione possibile che sogniamo. E a chi dicesse che i sogni sono solo fantasticherie e fughe dalla realtà, ricorderemo volentieri che ogni realtà, per prendere forma, deve essere stata sognata e desiderata da qualcuno.
Paolo Bartolini
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