Alika. Si chiamava Alika Ogorchukwu, aveva una moglie e un figlio e per campare, pur se invalido, faceva 50 km all’andata e 50 al ritorno, lavorando come l’ambulante per vendere fazzoletti e piccoli accessori per strada e davanti ai negozi.
E’ l’ultimo di una lunga serie di omicidi razziali che hanno insanguinato l’Italia in questi anni, e che, ancora una volta, hanno come teatro la provincia marchigiana, sfigurata e rabbiosa, sei anni dopo l’assassinio di Emmanuel Chidi Nnamdi a Fermo e quattro anni dopo la tentata strage di Traini a Macerata. Come Emmanuel, Alika è stato ucciso in pieno giorno, in Corso Umberto I di Civitanova Marche, sotto gli occhi di numerosi passanti che hanno filmato e fotografato la brutale aggressione senza intervenire.
Un dato agghiacciante, che definisce il baratro etico e sociale in cui siamo precipitati e che si salda con la minimizzazione, l’indifferenza e addirittura il giustificazionismo di una parte non piccola dell’opinione pubblica. Il razzismo e la xenofobia sono radicati nel nostro Paese da molto tempo e fanno parte di un contesto in cui giocano un ruolo centrale gli attori collettivi: le istituzioni, i potentati economici, i partiti, i mass media.
Alika è stato ammazzato a bastonate da una violenza brutale, che si origina nella costruzione sociale di una ideologia razzista e fascista contro chi è povero e ha la pelle di un altro colore. Alla radice della violenza, anche di quella occasionale, c’è sempre una mentalità diffusa.
Da molti anni in Italia governi di centrodestra e governi di centrosinistra hanno affrontato la questione delle persone migranti con un atteggiamento di chiusura irrazionale, anticostituzionale e immorale, arrivando a finanziare i campi di concentramento in Libia. Questo continua tuttora ad alimentare una percezione distorta della realtà e un sentimento di xenofobia diffusa.
La richiesta di sicurezza a Civitanova, nelle Marche e in Italia non può risolversi con misure di controllo del territorio e soprattutto non può essere usata per speculazioni politiche che assurdamente criminalizzano le persone migranti e alimentano la mentalità razzista e xenofoba del “prima gli italiani”. Non esiste sicurezza senza umanità, senza giustizia, senza riconoscere la dignità di ogni donna e di ogni uomo, un valore rispetto a cui nessuno viene prima degli altri.
Sono urgenti lo sviluppo di una cultura civile di rispetto della dignità umana di chiunque, la pratica della solidarietà, l’attuazione della giustizia sociale, il senso della responsabilità collettiva, il potenziamento dei servizi alla persona, la costruzione di un’economia equa. È dalla partecipazione diretta e dalla rete di tutti coloro che hanno a cuore sia i diritti umani sia la trasformazione della società in senso democratico e solidale che può germogliare un’alternativa reale alla barbarie in cui ci ha trascinato la politica attuale.
Intanto a Civitanova è doveroso non solo che il Comune decida una giornata di lutto cittadino, ma anche organizzare una grande manifestazione e attivare la vicinanza concreta alla famgilia di Alika.
“Dipende Da Noi” sarà nelle piazze in questi giorni a fianco delle sorelle e dei fratelli migranti che lottano quotidianamente con grande determinazione contro ogni sorta di ostacoli e di ostilità e così facendo ci indicano la via per la costruzione di un futuro più accogliente e giusto per tutti.
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