Scegliere il futuro mentre regna la paura

Vogliamo parlare di come stiamo affrontando questa situazione da incubo, durante l’attacco del virus covid-19, dentro di noi?

È una questione insieme personale, interiore, e politica, collettiva.

Molti ripetono il mantra “nulla sarà come prima”, come se sapessero davvero che cosa significa questa frase. Per metà l’affermazione è vera, per l’altra metà è un’illusione.

È un’illusione dovuta al bisogno di renderci comunque immaginabile un cambiamento traumatico di cui, a essere onesti, non possiamo prevedere gli esiti. Molte cose saranno effettivamente diverse, mentre molte altre probabilmente torneranno come se niente fosse. Alcune peggioreranno persino. Non basta un virus a sradicare antichissime abitudini: al potere, all’egoismo, all’avidità, alla violenza.

La scena delle file davanti ai negozi di armi negli Stati Uniti, i diffusi episodi di truffa durante questa emergenza sanitaria e soprattutto la crescente ottusità di molti governi europei sono esempi eloquenti. E che dire di Boris Johnson e della sua politica dell’immunità del gregge?

Più è evidente che ci salviamo solamente insieme e più c’è chi immagina di salvarsi da solo.

La realtà ci sta chiedendo di scegliere il futuro proprio ora che siamo in difficoltà e abbiamo paura. Esso non è una certa quantità di tempo in più, è vita qualitativamente rinnovata. Il futuro non viene da sé.

Nella storia i mutamenti veri richiedono sempre il risveglio della coscienza, il coraggio di cambiare completamente atteggiamento verso la vita, la cura educativa, una politica davvero nuova grazie alla sua capacità di giustizia. I mutamenti in meglio richiedono a ognuno l’approfondimento delle proprie forze interiori e della propria disponibilità all’azione collettiva.

L’aggressione del virus rende ancora più evidenti gli errori umani, manifestando quanto il neoliberismo sia una logica delirante e distruttiva, che ci ha portato alla stupidità di costruire la società come se fosse un mercato dove il denaro è il soggetto e noi i suoi servitori. Una società così crolla al primo scossone che riceve. Perché in effetti stava già crollando a causa del male che fa all’umanità e alla sua stessa casa, la natura.

Se “nulla sarà come prima” e se questo deve significare realmente che il mondo riuscirà a essere migliore, il mutamento non sarà mai automatico.

Occorre il nostro atto di responsabilità. Dobbiamo essere più capaci di collaborare per un progetto di società umanizzata. Chi è attaccato al proprio io annega nella disperazione e nel cinismo, è già morto dentro prima ancora che arrivi la morte fisica.

Invece chi sa andare oltre se stesso per dedicarsi al bene comune scopre che la vita è una comunità, è la comunità dei viventi.

Perciò il meglio che desideriamo (la giustizia, la libertà, la solidarietà, il futuro aperto, la felicità) diventa concreto anche per noi appena ci mettiamo a lavorare perché lo abbiano gli altri, partendo da chi è oppresso.

Le voci di chi ha vissuto la resistenza ai totalitarismi del Novecento insegnano che tutto questo non si può fare senza pazienza.

È un equivoco credere che la pazienza sia remissività e passività. È vero il contrario: la pazienza è la forza di reggere ai colpi che arrivano attivando una dinamica di trasformazione e di liberazione.

Ed è la capacità di coltivare giorno per giorno questo processo. “Negli anni a venire sarà il nostro orgoglio e la nostra vittoria il fatto che ogni colpo distruttivo che hanno cercato di infliggerci si sia trasformato nel suo contrario, facendo avanzare soltanto la nostra forza e la nostra crescita”. Questo pensiero è stato scritto nel suo diario dal campo di sterminio dalla giovane ebrea olandese Etty Hillesum, uccisa ad Auschwitz a ventinove anni, il 30 novembre 1943.

Per lei combattere il nazismo era anzitutto resistere alla disumanizzazione che può insinuarsi in chiunque. Perciò Etty evidenzia la forza politica democratica e liberante dell’impegno personale a mantenere integra la propria coscienza: “ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale”.

La risposta all’aggressione del virus, come a quella dei poteri deliranti del capitalismo e dei nazionalismi, nasce dalla scelta di partecipare alla vita collettiva con giustizia e solidarietà. Solo questo ci libera dalla paura.

Pochi giorni prima di morire, pur conoscendo il suo destino, Etty scrive: “è proprio come se tutte le cose che succedono e che succederanno qui siano già, in qualche modo, date per scontate dentro di me, le ho già vissute e assorbite, perché io partecipo già alla costruzione di una società futura”.

La sua testimonianza ci ricorda che giungere a una società democratica dipende da noi, ma questo implica che ogni persona dica a se stessa: dipende anche da me.

Roberto Mancini

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