Una proposta di prospettiva. Riguardo al dibattito suscitato dalla questione della prospettiva politica futura in cui dovrà muoversi “Dipende da Noi” ringrazio tutte le persone intervenute, anche per le loro critiche, che mi aiutano a riflettere e a migliorare. Vista la difficoltà di esporre le idee in pochi minuti di collegamento on line, vi anticipo una riflessione che sintetizza la mia proposta per le scelte di fondo del nostro movimento e cerca di chiarire i punti rimasti problematici.
Oltre la reticenza a immaginare il futuro. Ci sono a volte reticenza e imbarazzo ad affrontare la questione dei soggetti politici nazionali e internazionali indispensabili per promuovere la trasformazione del modello di società che desideriamo. Parliamo giustamente di problemi locali, di fatti specifici, al massimo esprimiamo una critica generale, ma spesso non ci spingiamo oltre in termini positivi.
I dualismi che ci paralizzano. In questi decenni il capitalismo globale ha spazzato via gli antagonisti politici. Il sistema si regge anche grazie al sistema di dicotomie tra riformisti e antagonisti, tra partiti e movimenti, tra politicizzati e cittadine/i comuni, tra istituzioni e società. In mancanza di un orizzonte e di un progetto condivisi, con la nostra crescente incapacità di collaborare e di metterci al servizio di una meta grande, da coltivare progressivamente nel medio periodo, tutti questi poli diventano mondi separati e in lotta tra loro. Intanto il sistema del capitalismo globale esercita invece la sua egemonia in tutti i campi della vita della società senza problemi di divisioni interne.
Oltre i partiti attuali. I partiti esistenti (dal centro-sinistra alla sinistra) sono bloccati sia dal fatto di restare nella forma convenzionale del partito, poco democratica e tutta concepita all’interno della logica del potere, sia dall’autoreferenzialità. Le identità attuali non sanno darsi una forma nuova, non hanno progetto e non sanno collaborare. Anzitutto parlo del PD: più che un partito è un equivoco collettivo. Dentro ci sono neoliberisti e persone prive di pensiero critico, come ci sono persone appassionate del bene comune. Non è un partito riformabile, bisogna arrivare al suo superamento. Che le sigle attuali non hanno futuro è vero in primo luogo per il PD. Qualsiasi partito è uno strumento per agire politicamente, non è un’identità nel senso quasi “religioso” del termine. Quando, dopo un certo numero di anni, si vede che lo strumento è rotto, si ha non solo il diritto ma il dovere di costruire uno strumento più adeguato alla realtà. Invece restare identitari significa restare individualisti (intendo l’individualismo più tenace, quello del piccolo gruppo chiuso, non solo quello del singolo), anche se ci si dice comunisti. La lunga catena di divisioni interne, di scissioni, di polemiche interminabili a sinistra dovrebbe insegnarci a cambiare finalmente atteggiamento. Questa affermazione, che non è neppure una critica ma è una semplice constatazione, non va affatto intesa come un misconoscimento dell’impegno, spesso pluridecennale, delle/degli aderenti alle sigle attuali; tutto al contrario, la mia è una proposta per dare maggiore fecondità al loro impegno fondamentale e insostituibile. Un impegno che, in particolare nel caso di molte/i aderenti di Rifondazione Comunista e di Sinistra Italiana, ha consentito la stessa nascita di “Dipende da Noi” nelle Marche.
Una ex lista regionale o un movimento trasformativo? Noi non possiamo fermarci allo stadio di una ex lista per le elezioni regionali. La realtà ci chiede di fare la nostra parte come movimento politico impegnato a rigenerare la sinistra politica con l’apporto di chiunque concordi sull’esigenza della trasformazione della società, dell’economia, della cultura. Bisogna riaggregare in forma nuova i soggetti già attivi per la trasformazione e coinvolgere molti altri soggetti potenzialmente disponibili ma dispersi.
Sintesi sociale, culturale e politica. Proprio dall’esperienza del movimento operaio e dei partiti che lo hanno rappresentato ci viene la lezione che indica come sia possibile progredire nella trasformazione della società solo se si costruisce l’integrazione tra sintesi sociale, sintesi culturale e sintesi politica. La sintesi sociale deriva dalla convergenza delle classi dominate (classi in senso ampio: classe economica dei salariati, i giovani, le donne, i non occidentali, ecc.) verso un progetto di liberazione. La sintesi culturale invece apre uno sguardo sulla realtà, dà una prospettiva, mette in circolo parole-chiave come giustizia, liberazione, eguaglianza, democrazia, ecologia e altre ancora. Senza una cultura che unifichi la sintesi sociale viene meno. Poi la sintesi politica resta affidata a uno o più partiti che devono far valere queste istanze nelle istituzioni e per il governo del Paese. Senza queste sintesi politica si resta nella palude della dispersione e della frustrazione. Perciò la sinistra etica che, nel nostro piccolo e certo non da soli, vogliamo interpretare non vive senza una sintesi sociale e politica nuova, che oggi manca completamente.
L’esperimento di un futuro partito no power. La realtà chiede di dare forma a un organismo-partito di nuova generazione, a un partito no power, determinato a riconvertire il consenso che ottiene non in potere ma in servizio e capacità di prendersi cura. Da parte sua “Dipende da Noi”, con i limiti che ha, deve muoversi con umiltà e determinazione per promuovere questo processo attivando contatti nazionali. In particolare dobbiamo promuovere nel circuito della “Società della cura” la volontà di muoversi in questa direzione non certo per tramutarsi in un partito, ma per alimentare il cammino di ricostituzione della sinistra politica. Auspicare l’autogoverno dei territori – che pure è essenziale – non basta, occorre una sintesi politica che sia almeno di livello nazionale, nella prospettiva di una sintesi europea e internazionale.
Costruire uno schieramento di soggetti culturali, sociali e politici che sia la base propizia per la nascita di un partito di nuova generazione, un partito che si qualifichi come una forza di sinistra trasformativa del XXI secolo e non come un aggregato di centro-sinistra. Dobbiamo ridurre drasticamente la frammentazione politica a sinistra. Per farlo non penso che i movimenti debbano fondersi in un partito, penso che possono e devono alimentare il processo costituente della sua nascita. Poi ci sarà un dialogo costante tra movimenti e partito senza confusione dei ruoli. Siamo talmente abituati alla frammentazione, sempre e comunque legittimata in nome delle “differenze”, che l’idea di un partito (e non di molti) può spaventare. Ma bisogna tenere presente che: a. i movimenti mantengono la loro piena autonomia; b. si dovrà trattare di un “partito” molto diverso per struttura e gestione dai partiti che conosciamo; c. in diverse situazioni storiche esemplare, il ricorso allo strumento di un partito di sintesi politica non ha affatto compromesso il pluralismo e le differenze. Penso al Partito del Congresso Indiano nella vicenda di Gandhi e all’African National Congress nella vicenda di Mandela in Sud-Africa.
Il valore prospettico del manifesto “Per una società della cura”. La “società della cura” come manifesto non solo etico-culturale, ma anche politico può arrivare a ottenere un consenso trasversale, rispetto alle identità attuali, su obiettivi inscritti nel paradigma del prendersi cura e della democratizzazione invece che nel solito paradigma dell’accumulazione-competizione-crescita-consumo fondato sul dominio e sullo sfruttamento. Qui di seguito cito alcuni di questi obiettivi non certo per darne un quadro completo, ma solo per dare un’idea come essi siano condivisibili sia da soggetti che si ritengono antagonisti, sia da quei soggetti che nel campo riformista sono critici, non conformati alla logica di mercato, e sono seriamente intenzionati a superare le iniquità del sistema attuale:
- tutela della differenza di genere, lotta alle radici e agli effetti della tradizione patriarcale
- alleanza tra le generazioni, con un rilancio della scuola pubblica, della ricerca, degli spazi e degli strumenti per l’azione delle nuove generazioni
- scelte di politica economica-ecologica tendenti a governare il mercato, riconoscendo che non può essere il mercato a governare la società
- riforma fiscale e tassa patrimoniale
- generare lavoro vero, lotta alla disoccupazione, alla precarizzazione, alla povertà, all’esclusione sociale, rilancio dei contratti nazionali di categoria, reddito universale, riduzione dell’orario di lavoro
- rilancio sistematico del welfare universale integrato, garantendo livelli omogenei in tutto il territorio nazionale e privilegiando servizi a carattere comunitario
- rilancio sistematico della sanità pubblica, invertendo la rotta rispetto alla politica delle privatizzazioni
- riconversione ecologica delle attività economiche, gestione ecologica del territorio e delle risorse
- tutela dei beni comuni e responsabilizzazione delle comunità locali
- politica sull’immigrazione e ius soli
- politica estera in chiave di cooperazione e democrazia internazionale, contro il neocolonialismo e le tendenze geopolitiche egemoniche, per una riforma democratica dell’UE e dell’ONU, per una strategia di speciale cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo
- cancellazione dei progetti di autonomia differenziata
- sviluppo delle attività creative, dell’arte e della cultura, con la tutela dei mestieri attinenti a questo ambito.
Riformisti critici e antagonisti sulla strada della convergenza verso un orizzonte nuovo e condiviso. Anziché continuare a insistere sulla contraddizione tra riformisti critici (gli altri non li consideriamo neppure) e antagonisti, occorre creare un orizzonte di trasformazione che anzitutto si fondi sulla sintesi sociale intesa come alleanza tra classi comunque marginalizzate e oppresse dal capitalismo finanziario. Nel contempo occorre costruire una sintesi culturale e politica che permetta a tutti questi soggetti (compresi i moltissimi senza-partito e le liste civiche di sinistra) di convergere, pur nelle differenze a lungo termine. Nella prospettiva a breve e medio termine c’è la possibilità di unire le energie per perseguire obiettivi comuni come quelli sopra elencati. Noi dovremmo alimentare la presa di consapevolezza critica di chi, per tante ragioni, sarebbe anticapitalista ma non concepisce ancora un altro modello di economia e di società. La logica liberista è come un’epidemia che conquista le menti, il linguaggio, le istituzioni. Chi la combatte non può limitarsi a condannare chi l’ha contratta, fermarsi al giudizio è del tutto sterile. Anche perché molto spesso anche le vittime del capitalismo, non vedendo altro orizzonte, continuano a ragionare dentro la logica del mercato. Quando ci sono le condizioni minime per un dialogo e per una collaborazione, dobbiamo mettere in circuito idee e proposte critiche agibili anche per quelli che in buonafede non hanno ancora maturato una visione alternativa al capitalismo.
Un piccolo seme fecondo. “Dipende da Noi” è un organismo giovane, ancora piccolo e poco organizzato, ma è anche un seme di democrazia avanzata per le idee, per il metodo, per la trasversalità e la pluralità dei soggetti che lo compongono. Mettere subito in rapporto l’orizzonte grande, impegnativo e pluriennale a cui ho accennato con le dimensioni e le energie di “Dipende da Noi” significa fare un cortocircuito. Ovviamente non ho mai pensato, scritto o detto che “Dipende da Noi” sia il protagonista di questa svolta o che di per sé sia esente dai difetti dei partiti a sinistra del PD.
Non possiamo costruire questo processo da soli, né possiamo lavorarci mettendoci in contrapposizione con i partiti esistenti. Invece possiamo e dobbiamo agire per contribuire a catalizzare questo processo, mettendo in circolo la proposta e agendo di conseguenza: nelle Marche come pure nei rapporti con altri soggetti sociali, culturali e politici di altre regioni e anche di respiro nazionale.
Non ci è chiesto di fare mille passi, ma solo di fare fino in fondo i passi a noi possibili su una strada dove incontreremo e già incontriamo molti altri soggetti: l’importante è fare questo cammino nella direzione giusta. La mia proposta intende solo delineare questa direzione complessiva, non vuole affatto essere una ricetta per risolvere tutti i problemi da affrontare. Vi ringrazio per l’attenzione.
Roberto Mancini
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