Ricostruzione integrale e post-terremoto è un gruppo di lavoro di Dipende da Noi che muove i suoi primi passi in occasione della campagna elettorale per le elezioni amministrative del 2020 e viene di fatto “istituzionalizzato”, una volta trasformato Dipende da Noi da esperienza elettorale in movimento politico, nel dicembre del 2020.
Il gruppo è aperto a tutte le persone interessate a dare un proprio contributo sul tema della ricostruzione, non solo alle iscritte e agli iscritti all’associazione, ed è coordinato da Barbara Salcocci e Gian Marco Falgiani come potete vedere visitando il sito.
Per costruire una proposta scevra da idee preconcette e preconfezionate si è partiti da un’analisi della situazione, iniziando ad osservarla da due punti di vista ben definiti: quello delle persone che stanno ancora subendo i problemi ed i traumi legati al sisma e alla mancata ricostruzione, e quello delle associazioni e dei volontari che hanno agito e agiscono tutt’ora in quei territori per assistere e ricostruire le comunità che vi abitano.
L’aspetto che si è dall’inizio rilevato, determinante nella ritardata partenza dei lavori di ricostruzione è la sostanziale assenza della politica regionale, di una visione complessiva capace di portare avanti istanze di interesse generale andando oltre gli interessi particolari. Questa mancanza è entrata in risonanza con la struttura amministrativa dei territori dell’entroterra, caratterizzata dalla presenza di micro-comunità inidonee, per le loro dimensioni, ad affrontare i problemi analizzandoli da un contesto maggiore di quello della stretta competenza. Tale caratteristica strutturale, a causa della quale le popolazioni colpite dal sisma non riescono a far emergere esigenze e proposte capaci di andare oltre la contingenza, è presente anche in quelle realtà che, invece, per loro dimensioni, avrebbero le capacità amministrative e tecniche per ricostruire le comunità in cui agiscono e non solo i loro ambienti. Anzi, se nei piccoli centri questa assenza della politica si è tramutata in un sostanziale immobilismo, nei centri di dimensioni maggiori le conseguenze son ben più gravi, con la definizione (da parte delle amministrazioni locali, con la regione capace solamente di avallare quelle scelte) e la realizzazione di interventi che stanno segnando in maniera decisiva il futuro di quelle città.
Tolentino è il simbolo di quanto osservato, capitale di fatto di quella regione che chiamiamo “cratere” (Tolentino ha oltre 18.000 abitanti, mentre, per citare i centri più conosciuti, Norcia 5.000, Amatrice 2.800. Altri centri importanti colpiti dal sisma, sempre in provincia di Macerata, sono San Severino con 12.600 abitanti e Camerino, 7.000 abitanti). A Tolentino ci sono numeri importanti, con vasta parte della città danneggiata gravemente dalle scosse del 2016, con oltre 4.000 sfollati ancora in attesa di soluzioni per l’emergenza (Tolentino è l’unico comune in cui si è scelto di non far costruire le famigerate S.A.E. – Soluzioni Abitative d’Emergenza, le casette di legno, per intendersi – per realizzare un campo container in cui sono malamente ospitate circa 250 persone e per far assegnare al resto dei terremotati il C.A.S. – Contributo per l’Autonoma Sistemazione).
A fronte di tale situazione, dopo oltre 4 anni dalle prime scosse del 2016, in questi ultimi mesi si è deciso di interrompere l’erogazione del CAS agli sfollati che si sono trovati a dover rinunciare ad appartamenti loro assegnati, per diversi motivi oggettivi: metratura non adeguata, motivi di salute, carenza di trasporto pubblico per persone non automunite, distanza eccessiva dal centro abitato, barriere architettoniche ed altro ancora. Parte di tali appartamenti sono solo oggi in fase di ultimazione (seppur le prime assegnazioni risalgano al 2018…) e son stati realizzati tramite il recupero di un capannone industriale mai terminato, pagato più del doppio del suo valore di mercato e che ha pesato per più di 6 mln di euro sulla collettività, da aggiungere agli altri 20 mln, stanziati dalla precedente giunta regionale, per dare ossigeno al piano di espansione della città che prevede la realizzazione di circa 200 nuove unità immobiliari in altre aree periferiche della città.
Anche le scuole danneggiate dal sisma, ad oggi, sono inutilizzabili e, per esse, è prevista la delocalizzazione definita in un’altra area periferica, fra capannoni dismessi e centri commerciali, con la realizzazione di un’apposita (e costosa) nuova stazione ferroviaria senza che si sia fatta uno straccio di analisi preliminare.
Insomma, a Tolentino (ma si potrebbe fare un discorso analogo anche per Camerino) si sta attuando una serie di importanti interventi capace di stravolgere la struttura urbana odierna senza che sia stata fatta una minima valutazione preliminare ed in assenza di un qualsiasi piano di recupero del patrimonio edilizio danneggiato (che rischia di rimanere un immenso rudere a cielo aperto ad imperitura memoria…).
Nelle attività del gruppo di lavoro, come detto, è compreso anche l’ascolto e la costruzione di relazione con le associazioni che lavorano e agiscono sui territori e da esse abbiamo ascoltato molteplici iniziative e proposte. Le prime con cui siamo entrati in contatto sono: il COMITATO 30 OTTOBRE di Tolentino, LE BRIGATE DI SOLIDARIETÀ ATTIVA, il centro studi EMIDIO DI TREVIRI e la sezione maceratese di ITALIA NOSTRA.
Si sono elencati fenomeni, in un’ottica di contestualizzazione degli eventi, che potrebbero estendersi a tutte le terre altre interne di cui il cratere sismico pare rappresentare solo una punta di sperimentazione avanzata, sfruttandone la debolezza e lo spopolamento.
1) TURISTIFICAZIONE: Prima il food, poi le case. Gastropolitica nel post-sisma. Questo è un processo che sembra consolidare un percorso avviato già prima del terremoto. Da Castelluccio a Norcia, da Visso ad Amatrice, indotti gastronomici altamente localizzati, impossibilitati a soddisfare un mercato di massa, ricorrevano già in larga parte a una forte delocalizzazione della produzione, solo nelle fasi finali (etichettatura, imbustamento, marchiatura etc.) svolta nelle zone della cui nomea si fregiavano i prodotti venduti. Una traiettoria che non può che consolidarsi in un contesto dove gli unici investimenti (sia sul piano simbolico che su quello strutturale) si concentrano sulla parte conclusiva della filiera, ovvero sulla vendita diretta al turista del food.
Ma chi beneficia di una residenzialità ridotta ad economia estrattiva stagionale? L’impressione è che si stia strumentalizzando la necessità di rilancio di queste aree per affermarne una nuova vocazione esclusivamente turistico-ricettiva. Una monocoltura dietro cui si nascondono vecchi e nuovi interessi e logiche di estrazione di valore dal territorio che poco si confrontano con una reale riflessione su bisogni e criticità del territorio, di chi lo abita o vorrebbe viverci.
2) GRANDI OPERE INFRASTRUTTURALI: impianti sciistici sul terminillo, quake lab, infrastrutture della viabilità, hub dell’idrogeno coinvolgente tutta la zona del cratere sismico e che potrebbe entrare nel recovery plan.
Un non meglio precisato grande hub dell’idrogeno di cui i marchigiani non sanno niente ma su cui il Sole 24 ore è bene informato (calato dall’alto senza dibattito pubblico) Quando si parla di idrogeno si parla di tante cose, molte delle quali non sono né green né clean. Preoccupa in particolare l’intreccio di tale ipotesi con il cosidetto hub del gas, mega opera che attraversa tutta la faglia sismica dell’appennino. Oggi il processo più economico di produzione dell’idrogeno è dal gas, appunto ne green ne clean in termini di emissioni.
3) PROPOSTE CHE DI FATTO RAPPRESENTEREBBERO UNA RIPOPOLAZIONE ELITARIA DELLA MONTAGNA COME FUGA DALLA CITTÀ: convegnistica stile Boeri, dibattito sulla grande stampa. Come sappiamo occorrerebbe il contrario di queste tre forme di aggressione e sfruttamento del territorio.
Si segnala in positivo che:
1) sono attive delle resistenze che lavorano sempre di più insieme immaginando un altro modello di progresso per le aree interne: comitati Terminillo, comitati no hub del gas e campagna “per il clima fuori dal fossile”, comitato contro quake, etc, etc…
2) sul terreno della rinascita delle comunità, si stanno proponendo, sotto diverse forme, processi di riteritorializzazione delle economie e di avviamento di turismo dolce coniugando analisi critica con buone pratiche per la costruzione di altra economia, ciò anche attraverso percorsi di rigenerazione dei domini collettivi ovvero l’antica tradizione delle comunanze agrarie (beni comuni) intrecciandolo con lo strumento della cooperazione di comunità.
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