Oggi più che mai è necessario ribadire che la parità di genere si raggiunge solo attraverso una rappresentanza paritaria tale da realizzare una democrazia reale dando un senso compiuto all’art. 3 della Costituzione Italiana.
Sia in Senato che alla Camera il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato:
“L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”
E ha detto esattamente la parola sbagliata, quella che crea da sempre l’equivoco di fondo e di cui ho già scritto qui, ha parlato di quote quando, invece le parole devono essere parità ed equilibrio.
Sono convinta che l’obiettivo di una rappresentanza paritaria sia prioritario rispetto alle altre problematiche ed è per questo che sostengo la campagna di Noi Rete Donne su questo tema ed è anche il motivo per cui, come Consigliera di Parità, mi sono esposta nel presentare il ricorso al TAR Marche per il mancato equilibrio di genere nell’attuale giunta e altrettanto ho fatto in altre circostanze con altre PA a prescindere dai colori delle stesse.
In Italia e nel mondo i due generi sono presenti in modo paritario e l’intero sistema sociale ed economico ha bisogno di entrambi i valori portati dalle donne e dagli uomini, in uguale misura. Per questo motivo i governi e i luoghi, pubblici e privati, in cui si decide hanno necessità di tutte le ricchezze disponibili.
Donne e uomini, insieme, hanno la facoltà di cambiare il presente e realizzare un futuro diverso, a loro misura ed è per questo che è necessaria la rappresentanza paritaria, per costruire insieme una società equilibrata e misurata sui desiderata di donne e uomini.
Il concetto di pari opportunità nasce non da una rivendicazione del tipo siamo tutte/i uguali ma dalla consapevolezza che siamo diverse/i e che questa diversità deve essere accolta come ricchezza.
I modelli sociali e culturali si rifanno, da sempre, a precomprensioni frutto del vissuto personale e sociale di ogni persona che hanno realizzato stereotipi difficili da scardinare: se le donne si sono avvicinate al modello maschile pochi sono gli uomini che accettano di avvicinarsi al modello femminile.
Intanto nei modelli di gestione delle relazioni e delle situazioni complesse, ormai da anni, non si parla più di specifiche modalità di esercizio della leadership perché si è compreso che la dinamicità delle relazioni – ogni volta uniche sulla base delle personalità coinvolte – ma si propone una leadership situazionale ossia che tenga conto della specifica situazione che si sta vivendo. Avviene così che la figura leader assume atteggiamenti paternalistici o affettuosamente comprensivi o direttivi o altro ancora interpretando di volta in volta le situazioni costruendo relazioni significative.
Questo approccio è ormai consolidato nella gestione aziendale mentre viene completamente ignorato (o peggio allontanato) nei contesti sociali e familiari in cui, invece, si continuano ad ingabbiare i ruoli in posizioni e atteggiamenti stereotipati. È quello, per esempio, che vuole fare ora il governo della Regione Marche che propone vecchi e stereotipati modelli familiari presentando una proposta di legge sulla famiglia in cui viene ribadito il concetto che “il padre deve dare le regole, la madre deve accudire” come ci raccontano le cronache (Resto del Carlino ed. Ancona del 23 febbraio 2021) .
Non funziona così, i ruoli vanno interpretati sulla base delle aspettative e delle situazioni tenendo conto non solo di ciò che il ruolo stesso richiede ma, anche, delle relazioni e delle necessità del momento. Questa attenzione c’è nelle realtà economiche e gestionali e, a maggior ragione, ci deve essere nelle realtà emotivamente complesse come sono i nuclei familiari che si realizzano non su principi economici o di convenienza ma sugli affetti.
Perché questi argomenti sono ancora così difficili da affrontare? Dove hanno fallito le battaglie culturali e per il riconoscimento dei diritti delle donne?
La prima riflessione nasce dalla mancata consapevolezza che molte donne, impegnate in prima persona, hanno avuto sulla portata della realtà rivendicativa che hanno avuto la fortuna di vivere. Potremmo paragonare il percorso delle donne ad una corsa ad ostacoli: ciascuna si è presentata attrezzata come poteva ed ha corso come riusciva cercando di arrivare al traguardo. In poche, purtroppo, si sono rese conto che quella che stavano correndo non era solo una corsa ad ostacoli ma, anche e soprattutto, una staffetta in cui, più che le diverse frazioni e frazioniste, sono fondamentali i passaggi del testimone. È proprio nel passaggio del testimone che molte sono state carenti e le conseguenze sono sotto i nostri occhi con un maschilismo di ritorno nelle giovani generazioni e in una sclerosi di alcune posizioni.
La seconda riflessione è sulle modalità con cui le donne hanno affrontato determinate tematiche e sui luoghi scelti per farlo. Dopo una prima e necessaria identificazione di luoghi di confronto tra donne la situazione non è evoluta e non si è aperta e, troppo spesso, le commissioni pari opportunità sono diventati luoghi in cui le donne si sono parlate addosso e hanno organizzato iniziative di donne per le donne.
Anche di recente, alla luce della mancata indicazione di donne per la compagine di governo da parte del PD, c’è stata la proposta di una corrente femminista all’interno del partito così come, non molto tempo fa, donne impegnate nella politica dei partiti mi dissero che auspicavano la creazione di liste di donne…
Tutto questo mi spaventa perché assolutamente contrario al concetto di parità e pari rappresentanza che va costruita insieme, donne e uomini, e non riducendo il concetto di genere ad una categoria sociale. Le donne non rappresentano una categoria sociale ma la metà del mondo, della società, che contribuiscono a realizzare fornendo il loro punto di vista.
Gli stereotipi e le ruolizzazioni continuano ad esserci ma la loro reinterpretazione è nelle mani di chi li vive e li può attualizzare e che, quindi, può farne dei potenti strumenti di cambiamento.
Credo fortemente nelle scelte condivise, tutte le scelte importanti della nostra vita le facciamo guardandoci intorno senza isolarci dal contesto e traendo forza dalla condivisione oltre che dalle scelte stesse.
L’esercizio alla condivisione è scuola di vita perché molto impegnativa soprattutto se ciò avviene in modo assolutamente paritario e in regime di diarchia di genere come quello proposto nello statuto del movimento politico Dipende da Noi in cui non si ragiona in termini di supplenza bensì di affiancamento costante nelle posizioni di coordinamento e di sintesi evidenziando l’eguale valore del genere e delle competenze. Perché le competenze sono diventate le prime armi contro le donne, se ne parla sempre e soltanto per le donne e quasi mai per gli uomini mentre, invece, devono essere uno degli strumenti di valutazione al pari del genere.
Potrei concludere ribadendo ciò che dico spesso ossia che “la vera parità si raggiungerà quando un uomo mediocre sarà sostituito da una donna mediocre” ma ancora le riflessioni sulle tematiche di genere non possono e non devono ritenersi concluse e ci sarebbero molte altre considerazioni da fare.
Paola Petrucci
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