In una società votata alla “crescita infinita” sembra impensabile RALLENTARE, quasi ci invade un senso di colpa se godiamo con calma di un tramonto, di una buona lettura, di un dolce far niente. La vita quotidiana, del resto, è scandita dal ritmo frenetico dei cicli di produzione e consumo. Non parliamo poi della retorica dell’innovazione, delle novità da desiderare a comando secondo gli input dei guru del marketing, della spada di Damocle della “concorrenza globale” che ci costringe a rimanere all’erta per non dare agli altri un vantaggio competitivo nei nostri confronti. Per fermarci un po’ è dovuta arrivare l’emergenza sanitaria del coronavirus. L’auspicio, per i meno avveduti, è di uscirne per tornare a correre e ad agitarci nel marasma di sempre.

Interrompere la colonizzazione dell’immaginario collettivo è una priorità per chiunque si proponga come forza democratica trasformativa. Il livello regionale dell’impegno di Dipende da Noi ci offre un campo di azione perfetto per sperimentare modi di vita a misura di persona, riducendo drasticamente la velocità della macchina consumistica, finanziaria e ideologica che ci stritola. Per fortuna esistono buone pratiche focalizzate sul rallentamento di questa corsa folle verso l’autodistruzione.

Che si tratti di cibo e del settore agroalimentare, ma anche delle banche del tempo, delle associazioni culturali che promuovono stili di vita consapevoli ed ecologici, di esperimenti comuni di decrescita selettiva, di rapporti meno compulsivi con i dispositivi tecnologici, di contrasto allo stress nei luoghi di lavoro… in tutti questi casi la posta in gioco è quella di rimettere la qualità della vita al centro del nostro interesse.

Rallentare significa prendersi il tempo e lo spazio per pensare insieme, per produrre alternative all’esistente, e soprattutto per SENTIRE col cuore, con la pancia, con tutto il nostro essere. Senza una presa di contatto del genere con noi stessi e con i bisogni concreti del Territorio siamo destinati al gorgo della fretta, dell’iperconnessione virtuale, del controllo e dello sfruttamento di ogni nostra risorsa vitale. Interrompere questa routine vuol dire riconoscere che, come insegnano i nostri anziani, certe scelte fondamentali si possono prendere solo “a bocce ferme”. Ed è proprio ciò che dovremo fare una volta superata l’odierna fase critica determinata dalla pandemia in corso. Si può continuare a vivere come prima, come se nulla fosse accaduto? Alcuni lo vorrebbero, NOI no.

Paolo Bartolini

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