Quale società vogliamo?

Credo che la nostra esperienza, soprattutto per la validità del suo metodo, possa incontrarne altre e svilupparsi anche oltre i confini delle Marche. È dunque opportuno stabilire contatti, confrontarsi, allargare la visuale sul piano nazionale per cominciare a immaginare concretamente quello che fino a ieri sembrava impensabile.

Uno dei fattori cruciali per suscitare convergenza e passione comune in moltissime persone, lungo la strada della politica trasformativa, è la condivisione di un progetto complessivo. Quale società vogliamo?

Potremmo evocare qualche aggettivo: una società equa, solidale, pacifica, sostenibile. Ma precisare i contorni di un orizzonte attraente e credibile risulta subito difficile per tutti.

Le cause di questa perdita della capacità progettuale sono molte. In questi decenni il clima sociale è stato egemonizzato dalla paura, dall’angoscia, dalla sfiducia, dal rancore: sono tutti sentimenti inibitori della libertà di desiderare. E se viene meno questa aspirazione a una vita buona condivisa, se sparisce il sogno di un mondo abitabile volentieri, allora si spegne l’immaginazione di un’intera società.

Un’altra causa dell’incapacità di progettare sta nell’egemonia dell’ideologia del mercato e della tecnocrazia, per cui alla visione del cammino verso una meta che sia a noi adeguata subentrano solo proiezioni di potenza (crescita, accelerazione, concentrazione del potere). L’innovazione diventa il surrogato nevrotico, demandato interamente alle tecnologie, di un progresso umano ed ecologico qualitativo di cui non siamo capaci.

Va poi ricordato che si è dissolta la funzione di sintesi culturale, oltre che politica, dei partiti così come sono stati disegnati dalla Costituzione della Repubblica. Talvolta con grandi aperture, spesso con chiusure ideologiche, i partiti che contribuirono alla nascita della Carta costituzionale sapevano esprimere una visione della società, per questo seppero giungere a un risultato elevato e generativo. Oggi essi non solo mancano di pensiero critico e progettuale, ma propriamente non sono neppure partiti nel senso costituzionale del termine, sono quasi sempre gruppi di potere o aggregazioni polarizzate dalla figura del capo.

E le associazioni, le organizzazioni non governative, le reti, i movimenti?

In questi anni hanno fatto molto, maturando anche idee e prospettive avanzate. Ma sono ancora imbrigliati sia dalla fatica che fanno a tenersi in vita per conseguire le loro priorità specifiche (che spesso li rendono organismi monotematici), sia dalla frammentazione e non di rado dal settarismo, sia dalla mancanza di un orizzonte realmente condiviso. Agire sentendo di dover cercare di trasformare l’ordine stesso della società comporta un peso psicologico che non tutti reggono, per cui può accadere che alla fine ci si accontenti delle buone pratiche messe in atto nel proprio ambito. Pratiche ottime e indispensabili: il problema non sta certo nelle pratiche, sta nel rinunciare ad assumere con forza il compito di dare loro la consistenza di un’azione collettiva più vasta che abbia il respiro di un progetto e susciti la passione tipica di un sogno comune.

Ma come sfuggire a questa strozzatura?

Finché si accetta di restare nel cassetto del terzo settore non c’è soluzione. Si tratta di diventare soggetti progettuali e politici senza essere dei partiti, che poi è quello che oggi viene chiesto alle Sardine. Per loro, come per tutti noi, si tratta di un percorso complesso. Un percorso che dovrebbe dare alle buone pratiche la dimensione di un processo popolare e includere le priorità specifiche di ogni organismo entro un progetto di società. Una svolta così va preparata con intelligenza.

A me pare che il primo passo sia liberare il desiderio di una meta adeguata, tanto ideale e degna da rappresentare un orizzonte attrattivo, ma anche tanto praticabile da attivare le nostre energie. Tutti i soggetti disposti a condividere questo desiderio devono darsi il metodo della partecipazione e della progettazione condivisa.

Il secondo passo è quello di stabilire alleanze intermedie, miste, tra movimenti e organismi che si occupano di questioni diverse e che però guardano tutti verso una democrazia autentica. Per esempio chi si occupa di economia solidale deve dialogare con chi segue la scuola e l’educazione, chi lotta contro le mafie deve incontrare i movimenti femministi ed ecologisti e così via. Solo da queste alleanze scaturiranno le finalità più ampie.

Un terzo passo sarà poi quello di darsi, appena sarà possibile, un appuntamento nazionale per decidere come procedere per costruire, con i tempi e i passaggi dovuti, un vero progetto politico, con la passione di collaborare per una meta che riesca a illuminare la strada da percorrere insieme.

Quello che stiamo realizzando nelle Marche può moltiplicarsi, in forme specifiche ma convergenti, in tutta Italia. Le condizioni per attuare questo sviluppo straordinario sono molte e delicate, vanno allestite con pazienza lungimirante. Ma resta vero che, se lavoriamo bene e con costanza, il risultato finale dipende da noi.

Roberto Mancini

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