Un po’ tutti vorrebbero lasciarsi presto alle spalle quanto sta accadendo. La normalità (parola insidiosa come poche altre) sembra un traguardo da riconquistare a ogni costo. Dunque perché perdere altro tempo a parlare di virus, contagi, vaccini e disastro ambientale? Non sarebbe meglio ristabilire l’abituale corso delle cose interrotto bruscamente da Sars-Cov-2? Mi spiace, ma non sono d’accordo. Se non impariamo dagli eventi, scatenati fra l’altro da un insieme di cause complesse, siamo destinati a ripeterli.

Il modo in cui guardiamo alla pandemia fa tutta la differenza. Se la interpretiamo come un evento inaspettato, come una crisi passeggera, restiamo vittime di un abbaglio. Mi pare invece che siamo dinnanzi a un fenomeno che si può affrontare solo in modo sistemico. Cosa rivela di noi, e delle nostre culture “democratiche”, una vicenda tanto articolata e ramificata, che non si riduce affatto all’agente patogeno, ma rivela debolezze e assurdità della cosiddetta società di mercato? Il virus Covid-19, tutt’altro che irresistibile ma contagioso e pericolosissimo per una serie di categorie fragili (parliamo di milioni di persone solo in Italia), si è manifestato dentro l’organismo già malato di una civiltà dedita solo all’accumulazione economica e al consumo, nella quale il morbo neoliberista ha distrutto progressivamente ogni idea di pubblico e di comune, in nome del privato e del profitto.

Come un elettrone catturato nell’orbita di un altro atomo deve conformarsi all’organizzazione dei campi di forza ivi presenti, così un virus agisce diversamente in base al tipo di organismo ecosociale che lo include. Ecco perché, al di là della diatriba poco interessante sui lockdown e di quella più interessante sul biopotere, mi piacerebbe che l’opinione pubblica si soffermasse sull’incompatibilità tra il futuro e il capitalismo globale. Invece di una smaltata di verde per nascondere il guano del presente, abbiamo bisogno di visione e di chiarezza massima. Chiunque si illuda di poter conciliare il liberismo e il dio Mercato con la democrazia e con l’ecologia, non solo mente a sé e ai propri figli, ma prepara il prossimo disastro dietro l’angolo. Ogni minuto perso a invocare la protezione di Draghi o a censurare la necessità di frenare i contagi in maniera netta (poiché gli ospedali traboccano e nessuno ha pensato di potenziare la medicina di prossimità e il servizio sanitario nazionale) potrebbe essere dedicato a studiare un po’, a praticare l’impegno civile, a ripulire l’infosfera dai finti problemi. O andiamo verso una rigenerata società della cura o sprofonderemo nelle sabbie mobili.

È tempo dunque di rivendicazioni concrete: reddito di base garantito, rilancio massiccio della sanità pubblica e della medicina territoriale integrata (anche in funzione preventiva), riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, investimenti sulla scuola come spazio educativo e non disciplinare, liberalizzazione dei brevetti per i farmaci salvavita, radicale svolta rispetto agli allevamenti intensivi e a tutte le pratiche produttive che danneggiano gli ecosistemi e i loro abitanti umani e non-umani. Si dirà che sono parole vuote o pii desideri. Io penso, invece, che Dipende da Noi uscire da quella che qualcuno ha chiamato “la dolce certezza del peggio” (e dalle paranoie) per costruire insieme, un po’ alla volta, una costellazione integrata di alternative all’orrore e alla stupidità dell’economicismo e del tecno-capitalismo.

Paolo Bartolini

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