Quando, da molto tempo, è diventato “normale” che la cittadinanza attiva sia stata lasciata disabitata, il momento delle elezioni ripropone ogni volta una strettoia frustrante e talvolta persino pericolosa. Perché in condizioni simili, in un contesto di democrazia sfibrata e devitalizzata, non si confrontano progetti e forze creative della società civile. Invece ha luogo un braccio di ferro tra forze inerziali, che malgrado le differenze obbediscono alla stessa logica di conquista del potere. Se il confronto politico si cristallizza, se ci si muove sempre dentro lo stesso scenario senza una vera alternativa di società, di economia, di qualità della convivenza civile, allora le elezioni sono un passaggio di negazione della speranza in una vera trasformazione liberatrice.
Quando, da molto tempo, è diventato “normale” che la cittadinanza attiva sia stata lasciata disabitata, il momento delle elezioni ripropone ogni volta una strettoia frustrante e talvolta persino pericolosa. Perché in condizioni simili, in un contesto di democrazia sfibrata e devitalizzata, non si confrontano progetti e forze creative della società civile. Invece ha luogo un braccio di ferro tra forze inerziali, che malgrado le differenze obbediscono alla stessa logica di conquista del potere. Se il confronto politico si cristallizza, se ci si muove sempre dentro lo stesso scenario senza una vera alternativa di società, di economia, di qualità della convivenza civile, allora le elezioni sono un passaggio di negazione della speranza in una vera trasformazione liberatrice.
Ogni volta finisce che una larga parte dell’elettorato si riduce a una massa manipolabile e s’innesca la partita dei numeri dei sondaggi che guida gli umori elettorali. Così molta gente vota per sentito dire, per l’emozione del momento, per rancore, per interesse privato, per la suggestione esercitata da questo o quel leader. Oppure non va a votare. Già l’idea che il massimo sperabile, quando si vota, sia fermare qualcuno dice quanto la vita democratica si sia degradata. Le forze politiche oggi rappresentate in parlamento e nei consigli regionali (penso in particolare alla destra sempre più nociva, al Partito Democratico privo di progetto e di spina dorsale etica, come pure al qualunquismo del Movimento 5 Stelle) di fatto sono gli attori di un circuito sterile e dannoso. Il fatto che lo stesso presidente del Consiglio abbia potuto governare prima con la Lega e poi con il Partito Democratico, come se si fosse cambiato d’abito, attesta quanto il problema sia costituito dal circuito stesso, non da questa o da quella forza politica. Esso si rilegittima sempre uguale a ogni elezione, perpetuandosi nella sua mancanza di progetto, di sensibilità, di passione per il bene comune.
Finché il processo e il contesto che preparano le consultazioni elettorali – che sono come la scena finale di un film – sono questi, non c’è spazio per nessun movimento di rilancio della democrazia e di rinnovamento etico della società. La scarsa educazione civica, la disinformazione, la distrazione diffusa, la manipolazione delle coscienze, l’inettitudine delle principali forze politiche e, puntualmente, la forza degli interessi in gioco confermano il sistema vigente. Perciò il cammino per rigenerare una politica degna e capace di dare risposte giuste ai problemi passa anche per il lavoro di rivitalizzazione civile delle consultazioni elettorali, che oggi sono democratiche solo formalmente. Le elezioni non sono un fatto matematico né automatico, sono un passaggio di nuova responsabilità collettiva.
Il lavoro per democratizzarle e renderle fruttuose va fatto prima, regione per regione, comune per comune. E, aggiungo: persona per persona. Infatti il risveglio dei soggetti della democrazia non procede in blocco, all’ingrosso, per contagio, seguendo le ondate degli umori nei social. Cresce solo quando donne e uomini, facendo una scelta personale, decidono di coinvolgersi seriamente. Per farlo, però, hanno bisogno di un soggetto già esistente e visibile a cui riferirsi.
Quando qualche settimana fa alcuni medici marchigiani, nel loro coraggioso impegno civile, hanno deciso che non potevano tacere di fronte a un errore madornale come la costruzione dell’ospedale-astronave di Civitanova, hanno giustamente sentito il bisogno di avere uno strumento politico. Qualcuno di loro ha ritenuto che un movimento come “Dipende da Noi” potesse accogliere e sostenere la loro iniziativa. Dobbiamo riflettere su questo. È il segno concreto della responsabilità che abbiamo, se davvero vogliamo elevare la qualità della vita pubblica nelle Marche. Perciò dobbiamo riprendere rapidamente la nostra azione in modo da fare il possibile perché le prossime elezioni regionali, che purtroppo saranno fissate con una scadenza molto ravvicinata, siano non un rito vuoto ma un inizio di rinascita della regione.
Le iniziative su internet in questi mesi, pur tra molte difficoltà, sono state realizzate con continuità, evidenziando i temi e le proposte centrali del nostro programma. Ma a breve, appena gli spazi di incontro pubblico diretto saranno praticabili, noi dobbiamo essere una presenza credibile in ogni città e in ogni provincia. Credibile perché? Mettiamoci per un attimo nei panni dei nostri interlocutori. Abbiamo sì la stima, la fiducia, l’appoggio di molte persone, ma la gran parte dell’elettorato non ci conosce e non si fida. Per di più, tra quanti sono già orientati a sinistra, non pochi ancora credono che non si debbano “disperdere i voti” e vogliono appoggiare un Partito Democratico, che però, per la mentalità dei suoi dirigenti e per il tipo di governo della Regione che ha espresso, di fatto è il contrario esatto delle loro speranze.
Come ci presentiamo a tutti questi cittadini? Se la Regione attuale somiglia a un vicolo cieco, noi dobbiamo proporre una strada aperta. La strada per cominciare a far valere le vere priorità per le Marche. La strada per attuare un metodo politico nuovo, grazie a cui istituzione e realtà quotidiana possano dialogare. La strada lungo la quale i moltissimi che ora sono tagliati fuori dall’economia e dalla politica possano accedere ai loro diritti e al loro protagonismo civile. Le nostre proposte non solo devono essere ben mirate e chiare, ma devono interpretare le ragioni di chi vuole vivere con dignità nelle Marche. La nostra presenza deve materializzarsi in ogni territorio grazie a gruppi di persone determinate e credibili, capaci di ricostruire partecipazione e fiducia, senza le quali la democrazia soffoca. Il nostro modo di fare deve incarnare il criterio della giustizia sociale, mostrando a chiunque che dove essa prevale nessuno è penalizzato. Per questo dobbiamo anzitutto assumere le lotte già in atto, la rabbia e la speranza di quanti sono impegnati a cercare un altro futuro: penso agli operatori sanitari, agli operai, ai disoccupati, a chi lavora nella scuola, ai giovani che vogliono futuro, alle persone straniere venute qui per una vita migliore, alle donne stanche di soprusi e a tutti quelli che non accettano di essere abbandonati.
In tutto questo sono necessarie l’umiltà e l’onestà di spiegare che non siamo niente di più che un seme di trasformazione democratica, l’inizio di un percorso da fare insieme, non una soluzione a tutti i problemi. Ed è decisivo che noi per primi agiamo in grande sintonia, rinunciando alla tentazione delle piccole polemiche interne, dei protagonismi individuali, dei giudizi disfattisti e della resa alla sfiducia, perché invece sappiamo che tutti noi siamo al servizio di un progetto che passa sì per le prossime elezioni e che però va ben oltre perché coltiva politicamente il sogno della vita nuova.
Roberto Mancini
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