Cos’è la destra, cos’è la sinistra? Se lo sono chiesti in molti (non solo storici del pensiero politico, sociologi e filosofi, ma anche cantautori, giullari e chi più ne ha più ne metta). Un tempo era semplice distinguere i fronti, che si opponevano in maniera diretta. Le differenze erano palpabili, riconoscibili. Oggi le distinzioni permangono, ma sono sfumate. Di notte siamo tutti più grigi e ci distinguiamo appena. Allora è importante coltivare l’arte di discernere, non per sparire sotto o dentro le nostre bandiere identitarie, bensì per comprendere a pieno la posta in gioco della politica. In fondo è facile portare alla luce i punti di contrasto che dividono la destra dalla sinistra.

La prima muove da un’idea profondamente gerarchica della società, dalla convinzione che “per natura” esistano persone più propense a comandare e altre ad ubbidire. La chiusura è forte, soprattutto verso l’ampliamento effettivo della partecipazione alle decisioni che contano. Si preferisce l’ordine imposto dal capo, o quello determinato dai rapporti di forza che si esprimono nel mercato e attraverso la legge della competizione generalizzata. Le disuguaglianze non turbano troppo, anzi. In qualche modo sono inevitabili, vanno accettate senza troppe lamentazioni. La guerra e l’uso della forza eccitano gli animi, forse evocando immagini archetipiche connesse all’eroismo e alla temerarietà. I rapporti tra sessi sono ricondotti a presunte e inesistenti leggi di natura che condizionerebbero la distribuzione di ruoli e diritti. A destra, infine e soprattutto, non si prende mai in seria considerazione la possibilità di un superamento del capitalismo. Nei fatti il sistema odierno affratella fascisti, liberali “moderati” e anarcoliberisti. Tutti uniti in difesa del privilegio.

La sinistra, invece, non potrebbe esistere senza un’idea di universalismo aperto, senza il desiderio di un’uguaglianza che si coniughi con il rispetto per tutte le differenze. Il meglio può darlo solo criticando radicalmente il capitalismo e operando per un passaggio a una società dignitosa per tutte/i, dove le gerarchie vengano gradualmente smantellate o ripensate in funzione del bene comune. La lotta contro l’ingiustizia, lo sfruttamento e l’istupidimento di massa è caratteristica dei movimenti di sinistra. Altrettanto lo è l’intenzione di coinvolgere le persone nella gestione responsabile della polis, promuovendo una democrazia sostanziale e non solo rappresentativa. La sinistra è non solo per una regolazione ferrea del mercato, ma per lo sviluppo creativo di innumerevoli pratiche economiche sostenibili e solidali. La sinistra non è tale se non immagina un grandioso e necessario processo di ridistribuzione della ricchezza verso il basso e di restituzione della dignità a tutti gli oppressi. La sinistra autentica, insomma, punta a una liberazione comune dalla subalternità, a relazioni umane meno utilitaristiche, al soddisfacimento dei bisogni basilari e alla cancellazione della miseria. Oggi, più che mai, queste istanze emancipatrici devono comporsi con l’ecologismo, con una rivalutazione dei limiti che proteggono la vita, con un ripensamento della vita nei territori (si pensi al concetto di bioregione), con una fuoriuscita dallo sviluppismo e dal produttivismo fine a se stessi.

Eppure, dicendo questo, non ho ancora ricordato l’aspetto più importante. Traggo le parole che seguono da un bel libro di Isabelle Stengers, che qui si riferisce al filosofo Gilles Deleuze e alla sua splendida caratterizzazione della sinistra che ci serve. «È così che Deleuze caratterizzava la differenza tra la sinistra e le destra: una differenza di natura, sottolineava, e non di convinzioni, poiché la sinistra (in un senso, qui, che i partiti cosiddetti di sinistra non cessano di tradire) ha bisogno, un bisogno vitale, che le persone pensino, e che immaginino, sentano, formulino le proprie domande e le proprie esigenze, che determinino le incognite della propria situazione» (I. Stengers, Nel tempo delle catastrofi, Rosenberg & Sellier, Torino 2021, p. 131).

Questo dobbiamo fare, se vogliamo essere sinistra invece di “dirci” di sinistra: aiutare le persone a pensare e farci aiutare da esse a fare altrettanto. Insomma, si tratta di pensare e sentire insieme per creare il mondo che non c’è, ma che potrebbe esserci.

Paolo Bartolini

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