Torno a scrivere di argomenti che affronto spesso nel tentativo di fare chiarezza perché sull’argomento, malgrado sia di tendenza c’è poca informazione anche tra le donne e tra coloro che se ne occupano.
Le due affermazioni, parità e pari opportunità, non sono sovrapponibili ma strettamente interconnesse tra di loro, sono rispettivamente l’obiettivo e il principio giuridico.
Alla base di entrambe c’è il concetto di diversità intesa come ricchezza di esperienze e di valori di riferimento dai quali non si può prescindere per realizzare una democrazia compiuta.
Il principio giuridico è quello delle pari opportunità ossia l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico.
Tale principio si estrinseca nel fare divieto di discriminare (fare differenze) nei confronti di gruppi, categorie sociali e singoli soggetti e, infatti, nella CE c’è l’espresso divieto di discriminare.
La Costituzione Italiana sancisce questo principio ponendolo tra quelli fondamentali (l’art. 3 recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
E il principio delle pari opportunità torna nella Costituzione all’art. 51 ribadendo che “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cari – che elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.”
L’obiettivo da perseguire è la parità di genere spesso, in modo errato, sostituendo la parola parità con uguaglianza suscitando incomprensioni e fraintendimenti (voluti?) che scivolano nell’annullamento del genere e delle differenze di genere che, come specificato in premessa, sono la base fondante sia del principio che dell’obiettivo.
La parità dei sessi (il concetto di genere non era ancora stato definito) è stata solennemente affermata nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite con il quinto obiettivo dell’ONU.
Fino a quel momento tale obiettivo era stato oggetto di elaborazioni intellettuali come quelle di Christine de Pizan che, nel 1405, scrisse il libro “La Città delle Dame” in cui sosteneva già che l’oppressione delle donne si fonda su pregiudizi irrazionali e sottolineando i numerosi progressi nella società creati dalle donne.
Nel diciottesimo secolo ci fu l’esperienza delle comunità Shaker, per lo più guidate da donne, che si strutturarono con modelli basati sul pacifismo e la totale uguaglianza tra i sessi dimostrando che tale parità poteva essere raggiunta ed indicando i percorsi necessari.
Seguirono, nel diciannovesimo secolo, le lotte femministe per il riconoscimento della parità tra donne e uomini.
In tempi più recenti, per il raggiungimento della parità, sono state elaborate strategie e strumenti giuridici che si riconducono al concetto di azioni positive ossia di regole antidemocratiche e transitorie finalizzate al superamento delle differenze.
Tra le azioni positive ci sono leggi che governano l’accesso ai luoghi in cui si decide (doppia preferenza di genere, alternanza di genere nelle liste, ecc.) e che definiscono gli equilibri nella loro composizione il più possibile paritaria.
Sulla parità nei luoghi di lavoro intervengono molteplici leggi e regolamenti e, in Italia, esistono anche organismi specificatamente preposti per la promozione delle pari opportunità e il controllo della parità sostanziale. Si tratta delle Consigliere di Parità, nominate dal Ministero del Lavoro, che quali pubbliche ufficiali operano sul territorio di competenza (nazionale, regionale, provinciale) per garantire il rispetto delle normative.
Nella mia esperienza di oltre trent’anni (di cui 20 in modo professionale per il Ministero del Lavoro e il Ministero delle Pari Opportunità) nel perseguimento delle pari opportunità per realizzare una parità sostanziale e democratica ho incontrato troppe persone, anche tra quelle addette ai lavori che confondono il principio con l’obiettivo e che non conoscono le logiche che sottendono agli strumenti (le azioni positive) necessari. Questo ingenera politiche poco chiare e discontinue, confusione dei ruoli e provoca diffidenza.
Penso che le pari opportunità, e ancor più i vari strumenti messi in atto per il raggiungimnto della parità di genere siano stati raccontati (volutamente?) in modo parziale e distorto tale da creare diffidenza sia tra gli uomini che le donne.
Per questo motivo il mio impegno per la conoscenza e l’informazione su questi temi è continuo, potete trovare altri scritti qui.
Paola Petrucci
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