Uno dei tanti argomenti affrontati dall’antropologia culturale è quello della guerra. Tramite uno studio lungo e approfondito delle diverse società e popolazioni, si è arrivati alla conclusione che la guerra non è, come spesso invece si pensa, inevitabile e presente in tutti i popoli. In molte culture infatti i conflitti che si generano non vengono affrontati tramite la violenza ma, ad esempio, tramite la discussione e il confronto. Si pensa che la guerra sia un fatto naturale, cioè intrinseco nella vita di tutti gli esseri umani, mentre la pace viene considerata soltanto come una lontana prospettiva artificiale, che cioè deve essere costruita dagli esseri umani.
Questa ideologia è soprattutto presente nella cultura occidentale, ma io credo che la guerra sia una delle cose più innaturali e artificiali che l’uomo potesse tra “creare”. Gli esseri umani dovrebbero vivere in sintonia e non scontrarsi tra di loro causando la morte dei loro stessi “compagni”.
Nonostante la guerra sia un fattore con cui conviviamo da moltissimo tempo, non bisogna abbandonarsi all’idea che essa sia una situazione immodificabile o insostituibile. Lo strumento principale con cui possiamo agire contro la guerra è l’educazione. Come dice Maria Montessori infatti “l’educazione è l’arma della Pace”.
L’educazione che però ci viene impartita è basata sulla competizione ed è esattamente l’opposto che ci dovrebbe venire insegnato se vogliamo che la guerra, e di conseguenza le innumerevoli morti causate da essa, non faccia più parte della nostra cultura. Al contrario si dovrebbe educare alla cooperazione e alla solidarietà, e cioè alla Pace.
A livello materiale l’eliminazione delle armi come viene proposto nella Costituzione della terra elaborata dal giurista Luigi Ferrajoli, ridurrebbe notevolmente il numero di morti e verrebbe meno anche la possibilità di fare la guerra in quanto non si disporrebbe più degli strumenti per farla. Considerare le armi come beni illeciti stimolerebbe sicuramente le persone ad aprirsi di più al confronto e a scegliere il dialogo come prima opzione e non il conflitto. Molti ritengono inoltre che le armi siano necessarie, ad esempio, per la propria difesa personale, ma le armi sono veramente così indispensabili da non poterne fare a meno? Se si crede che sia così allora bisogna anche chiedersi come mai alcune popolazioni riescono a convivere pacificamente anche senza l’utilizzo di nessun tipo di arma. Personalmente credo che bisognerebbe ispirarsi a coloro che riescono a vivere in questo modo piuttosto che rimanere chiusi nella propria ideologia pensando sia l’unico modo corretto di agire.
Questo è proprio quello che l’antropologia riesce ad insegnarci raccontandoci ad esempio della società pacifica matriarcale dei Na in Cina. L’antropologia si occupa inoltre dello studio delle differenze di genere e in questo ambito possiamo ricollegarci ad un altro importantissimo concetto che lega genere e guerra. Sono infatti proprio le guerre che rafforzano le gerarchie di genere e le aspettative che il genere porta con sé. Tramite la guerra vengono sottolineati e stabiliti ancora di più il ruolo della donna madre a casa che bada ai figli e quello dell’uomo considerato più forte e avente il potere, che invece va a combattere. A battersi contro queste idee è il femminismo, che può quindi essere considerato in questi termini come un movimento in grado di aprire la strada alla pace, in quanto gli uomini non sarebbero più obbligati a combattere e le donne non sarebbero più costrette a subire passivamente. In un certo senso potrebbero battersi insieme contro la guerra, la cui eliminazione andrebbe a vantaggio di tutti.
Credo quindi che la guerra non sia una necessità e non sia inevitabile. C’è sempre un’altra opzione e se non si sceglie la cosa giusta non è perché non se ne ha la possibilità, ma perché in fondo non lo si vuole veramente.
Francesca Calvaresi, 18 anni