Il 1° dicembre 1949, dopo la guerra civile che sconvolse il paese la Costa Rica ha deciso di abolire l’esercito, una mossa molto audace soprattutto in quel periodo storico perché andava contro l’idea che il mondo intero aveva della sicurezza.
Il Costa Rica si trova in una delle regioni più violente e in molti avevano previsto che senza un esercito potesse essere una facile preda per gli stati vicini ma, dopo oltre 70 anni, tutto questo non è successo.
Nel 1986 lo stato ha adottato un piano di pace nel 1986 dichiarandosi neutro e contribuendo a portare la pace nell’America centrale devastata dalle guerre. Per questo a Óscar Arias Sánchez all’epoca presidente costaricano è stato assegnato il Premio Nobel per la pace nel 1987.
Il Costa Rica ha sostenuto con determinazione il Trattato sul commercio delle armi svolgendo un ruolo fondamentale nella sua implementazione e negoziazione ed ha proposto, unitamente alla Malesia, un modello di Convenzione sulle Armi Nucleari nel 1997.
La scelta di non avere un esercito ha permesso di utilizzare le risorse economiche per lo sviluppo del paese segnando un tasso di sviluppo umano molto alto, una particolare attenzione verso il patrimonio faunistico e floristico (il 27,9% del territorio è parco nazionale) e oggi il livello di alfabetizzazione raggiunge il 95% della popolazione.
L’unica istituzione che può essere definita “armata” è quella della polizia civile, delle guardie di frontiera, della sorveglianza dei parchi naturali, dell’ordine pubblico e delle scuole.
In Costa Rica la parola “pace” è onnipresente, hanno l’Università per la Pace e un Ministero per la Pace e la Giustizia. La pace è riconosciuta come diritto umano, e la diplomazia del paese è costantemente attiva nel promuovere la pace progressiva, il disarmo e le politiche ambientali.
In questi anni il Costa Rica ha avuto diverse dispute di confine con gli stati vicini ma queste sono state risolte dalla Corte Internazionale di Giustizia. Se non si fosse trattato di uno stato demilitarizzato le questioni sarebbero potute andare in modo ben diverso.
Ritengo fondamentale chiarire che essere uno stato di pace non vuol dire assenza di conflitti ma lavorare per una loro risoluzione non violenta perché la pace non è da invocare quando scoppia un conflitto ma è da costruire ogni giorno mediante relazioni positive che abbassano le tensioni.
Per ottenere la pace è necessario essere consapevoli che così come la violenza chiama altra violenza la pace, praticata in ogni momento, può essere contagiosa e rende migliori le dinamiche e gli scenari in cui si esprime. La storia del Costa Rica lo dimostra.
Per raggiungere un reale progresso sociale e per intervenire concretamente sui cambiamenti climatici abbiamo bisogno di pace diffusa tale da produrre cultura della cooperazione, dell’accettazione e dell’inclusione mediante una reale democrazia partecipata.
Sono convinta che l’unica pace è disarmata e che va costruita percorrendo due strade che s’intrecciano: la strada dell’impegno quotidiano nel costruire relazioni positive di pace e la strada del disarmo.
Attualmente, nel mondo, ci sono tanti, troppi conflitti ma noi ce ne accordiamo quando ci sono vicini, quando il pericolo può coinvolgere le nostre terre e la tragedia si consuma in un territorio i cui abitanti ospitiamo da tempo (la comunità ucraina in Italia è la più grande fuori dai confini del loro stato) e la cui economia è strettamente legata alla nostra.
Il disarmo che dobbiamo perseguite è nei confronti delle armi tradizionalmente intese ma, prima ancora, dobbiamo disarmarci dalle armi mentali e relazionali in cui siamo sommersi. Dobbiamo reagire all’odio che imperversa nel nostro pensare. Dobbiamo imparare ad accettare noi stessi e gli altri riconoscendo a ciascuno la giusta dignità. Dobbiamo impegnarci a costruire relazioni nuove.
Oltre all’impegno convinto e personale di ciascuno è necessario un impegno sociale e collettivo. Bisogna manifestare la propria convinzione per contagiare le persone che altrimenti non si lascerebbero coinvolgere. Bisogna manifestare per fare pressione sui governi affinché riducano, invece di aumentarle, le spese per gli armamenti e aprano un concreto dialogo di pace.
Tutte e tutti, insieme, possiamo trasformare le relazioni nella comunità iniziando dalla consapevolezza che la vera democrazia si basa sulla pace e può essere raggiunta solo in modo paritario tra generi e tra popoli. Tutte e tutti, insieme, dobbiamo avere la consapevolezza che la pace e il cambiamento si realizzano a partire da noi, perché dipende da noi.
Paola Petrucci
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