Un buon inizio. È quello che finora abbiamo realizzato nella politica marchigiana. Il risultato numerico delle elezioni regionali di per sé ci dà amarezza, ma il nostro risultato politico resta fecondo. Scoraggiarsi adesso sarebbe tipico di una mentalità che ragiona sempre solo in termini di potere e di quantità, una logica inadatta a condividere la strada di “Dipende da Noi”.
Abbiamo avuto il primo rispecchiamento di quanto la nostra proposta sia arrivata a chi vive nelle Marche. Il dato numerico dice che 16.874 persone ci hanno accordato il loro consenso. Non è poco. È il principio di un cammino per ottenere la rappresentanza nell’istituzione regionale. La percentuale del 2,2 indica un insuccesso elettorale, ma il dato, letto tenendo conto del contesto, indica la realtà di un seme forte e buono, che va coltivato da subito con grande consapevolezza e tenacia.
Si possono elencare facilmente gli ostacoli che abbiamo dovuto affrontare:
- la perplessità iniziale e la fatica per superare l’eterna tentazione di dividersi;
- la defezione di alcuni, che avrebbero dovuto aiutarci e si sono defilati, o che dall’alto della loro inettitudine si sono divertiti a giudicarci dicendosi più a sinistra e più coerenti di noi;
- il lungo blocco delle attività dovuto all’epidemia, che ha reso anche più scarso il tempo a disposizione del nostro lavoro;
- la novità e la profondità della nostra proposta, che dovevamo far conoscere a un elettorato abituato alle banalizzazioni grossolane, peraltro senza poter contare su un’identità consolidata come quella dei partiti convenzionali;
- la chiara inadeguatezza della nostra organizzazione (privi persino di un addetto stampa), malgrado il gran lavoro di Paola Petrucci, di Massimo Rossi e di altri ancora, ai quali va tutta la gratitudine;
- la stampa distratta o scettica nei nostri confronti e persino l’impensabile “fuoco amico” de “Il manifesto”;
- il micidiale e disonesto richiamo al “voto utile” per il centrosinistra, quando era chiaro che quello era in assoluto il voto più inutile perché nelle Marche e a Roma tutti sapevano che il centrosinistra avrebbe meritatamente perso per molti e molti punti;
- la surreale presentazione della lista cosiddetta “comunista”, il cui unico effetto, oltre al ridicolo, è stato quello di togliere voti a noi (e di questo si vantano…);
- la scarsità di mezzi economici per realizzare una comunicazione più capillare e capace di raggiungere tutto l’elettorato.
Infine non posso tacere sul fatto che, con un po’ più di tempo e di ricerca, avremmo potuto trovare insieme una candidata o un candidato alla presidenza della Regione che fosse migliore e più convincente di me.
Ma la chiave per comprendere i fatti non sta in questo elenco di difficoltà, benché tutte rilevanti. La chiave interpretativa per capire la vicenda elettorale odierna sta nel riconoscere che ci siamo andati a inserire nel bel mezzo di una lunga e vasta frana morale, culturale, economica, sociale, istituzionale. Le Marche stanno vivendo da tempo una pericolosa mutazione genetica della loro identità: da regione dinamica a regione economicamente stagnante e socialmente disgregata; da regione dotata di una qualità di vita elevata a regione abbrutita, disorientata, disposta a credere ai richiami politici più volgari; da regione inserita nelle aree più avanzate d’Italia a regione travolta da una decadenza generalizzata, dove d’istinto ognuno pensa a sé e dove intanto si riorganizzano gruppi di potere che attingono alla mentalità neofascista.
A fronte di tutto questo, il modo di governare delle ultime Giunte regionali (Spacca, Ceriscioli), unito all’incredibile arroganza, incompetenza e miopia dei dirigenti del Partito Democratico, ha reso inarrestabile la frana. Noi ci siamo trovati nel pieno di questo pericoloso processo di mutazione genetica avendo il coraggio di portare una proposta radicalmente differente, una proposta potenzialmente capace di avviare l’inversione di tendenza perché mirata alle contraddizioni reali della situazione regionale. Ma la sproporzione tra la potenza del vortice del degrado in atto e le nostre forze era grande. Il nostro 2,2 % viene da qui.
Ora se crediamo al nostro impegno, al compito del prendersi cura del bene comune, al valore del gruppo di persone e delle relazioni che abbiamo costruito, non possiamo che affrontare la situazione attuale con fiducia e con la determinazione di coltivare ancora meglio il seme che abbiamo piantato. Non è assolutamente il tempo dello sconforto o delle recriminazioni. Spesso negli ambienti tradizionali della sinistra “radicale” c’è la passione di dividersi, di trasformare ogni minima differenza di analisi o di valutazione in una questione di identità che porta alla rottura con gli altri. È un riflesso inconsapevole di quell’individualismo e di quel narcisismo che, a dispetto della professione di “comunismo” e di radicalismo, si sono fatti strada anche e proprio in questi ambienti. Noi invece abbiamo fatto leva sull’essenziale che ci unisce. Siamo stati comunitari e non individualisti. Abbiamo agito non per la nostra identità o per il nostro orgoglio, ma per responsabilità. È dunque con la stessa responsabilità che oggi non possiamo che scegliere di onorare l’impegno che ci siamo presi apertamente e ovunque con le donne e con gli uomini che abbiamo incontrato. Abbiamo promesso che avremmo continuato la nostra opera. Ed è quello che faremo. Meglio, più organizzati, più capaci di arrivare in tutte le zone della regione.
È tempo di dare seguito alla nostra promessa e di farlo con lo stesso entusiasmo che abbiamo messo nella campagna elettorale. Perciò dobbiamo prenderci cura di “Dipende da Noi” perché diventi uno strumento di azione politica sempre più radicato e capace di promuovere la ricostruzione di una regione che in questa fase sta franando e che le elezioni hanno consegnato al peggiore sistema di potere che potesse darsi. Non abbiamo timore né alcun senso di inferiorità, abbiamo il desiderio e la passione di migliorare l’opera che abbiamo iniziato.
Ringrazio tutte le persone appassionate con le quali abbiamo iniziato questa strada e le ringrazio soprattutto perché so che, insieme a tante altre che si aggiungeranno, la porteremo molto più avanti.
Roberto Mancini
Come preannunciato ci vediamo sabato 26 settembre dalle ore 17:30 per la nostra FESTA di INIZIO che inizialmente avevamo programmato al parco Belvedere di Posatora e che, invece, si sposta al FabLab di Falconara, via del Commercio 4 (vicino al casello A14).
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