La sveglia non ha ancora squillato, ma sono già desto. Sta per iniziare un’altra giornata. Fuori è ancora buio e sotto le coperte il mio pensiero va alle consegne che dovrò fare e ai tanti chilometri che dovrò macinare.
Colazione veloce e alle 6,45 sono già fuori di casa. Parto. Poche luci nelle case mentre percorro l’ultimo tratto di strada che mi separa dal luogo di lavoro.
Parcheggio l’auto e, puntualmente, arriva quella morsa allo stomaco che difficilmente mi abbandonerà fino a che la giornata non sarà terminata.
Come da regolamento misuro la temperatura corporea e, mentre vado a prendere il furgone che poi dovrò caricare, arrivano i primi colleghi. Parcheggio il furgone per procedere al carico, mentre i primi timidi raggi di sole entrano nell’abitacolo. In lontananza però nubi oscure non promettono nulla di buono.
Non ci sono ancora molti pacchi nelle corsie, ma il rullo trasportatore ha già iniziato la sua folle corsa e tra poco l’invasione dei pacchi prenderà il sopravvento e si farà fatica a scorgere il colore del pavimento. Inizio a caricare i primi pacchi, ma dopo un po’ la schiena mi dice che devo rallentare e fare qualche secondo di allungamento. Intanto dagli altri mezzi si sentono le prime bestemmie e imprecazioni rivolte ai pacchi che cadono e ai bancali che a fatica riescono ad incastrarsi nel modo giusto. Prima della partenza c’è nervosismo e molta agitazione che si cerca di mascherare con qualche battuta e un amaro sorriso. Anche nelle facce dei colleghi più anziani è possibile leggere ansia e tensione. Qualche bel respiro e si carica il furgone.
La rassegnazione è quello che si respira nell’aria e l’automatismo è l’unica forza trainante. Siamo trasformati in macchine a cui non è concesso il minimo sbaglio e quando questo inevitabilmente arriva viene pagato a caro prezzo. Non abbiamo nessuna assicurazione. Se un pacco viene smarrito o il furgone danneggiato sono guai grossi.
Quando l’ultimo pacco viene caricato bisogna attendere l’autorizzazione del personale d’ufficio per poter partire. Viene infatti controllato se i pacchi sono stati tutti “sparati” con il palmare in dotazione. È lì che la morsa che ti attanaglia lo stomaco si fa più forte. Una discordanza significa cercare il pacco, ripetere la procedura e di conseguenza partire più tardi.
Ci sono stati incidenti, anche gravi, per cui ci vengono impartiti i soliti consigli: non correte, fate attenzione. Già! Ma come si fa, visto l’elevato numero di consegne da effettuare? Oltretutto molte ditte destinatarie di pacchi sono aperte solo la mattina.Purtroppo tutto questo ci obbliga a lavorare contravvenendo anche a varie norme, ad esempio l’uso delle cinture di sicurezza. Allacciarle, slacciarle, riallacciarle, e così via, porterebbe via troppo tempo, e se si ritorna al deposito con pacchi non consegnati si viene minacciati di sanzioni, per non parlare delle urla e delle umiliazioni.
Per chi non ha mai svolto il lavoro di corriere l’inizio non è facile. Spesso e volentieri le zone di consegna assegnate variano e non si conosco e solo raramente i novizi vengono affiancati da personale più esperto. Nella logistica siamo nella dimora del capitalismo. L’essere umano è considerato alla stregua di un robot che deve fare sempre di più e sempre più velocemente. Il tempo è un nemico crudele, è un orologio a pendolo che ad ogni rintocco ci ricorda quante ore, quanti minuti, quanti secondi abbiamo a disposizione per la consegna.
Devo dire che ad aiutare ad andare avanti c’è la solidarietà, l’incoraggiamento ed il sorriso di tanti clienti che comprendono quanto sia duro il nostro lavoro e che con una “pacca” sulla spalla ci fanno sentire meno soli. Dalle mie righe si può capire che il lavoro di corriere non è un lavoro che si può svolgere in tranquillità. Addirittura eventuali danni al mezzo, anche lievi (graffi, uno specchietto) vengono fatti risarcire profumatamente dal lavoratore. Ogni furgone è stracarico (anche più di 100 pacchi al giorno) e la possibilità di smarrire un pacco non è remota. In questo caso la perdita è completamente a carico del lavoratore. Quindi, non avendo nessuna assicurazione, oltre alla durezza del lavoro e alla pericolosità di “vivere” in strada c’è anche il rischio di dover rimborsare di tasca propria il danno causato al cliente.
Il nuovo sottoproletariato urbano nasce proprio da queste vicende, da questi racconti, è troppo stanco per ribellarsi e sottrarsi al ricatto, è troppo frustrato per emanciparsi, e tutta la rabbia accumulata viene scaricata sul più debole, su chi vive una condizione simile o anche peggiore. Tornando alla vita del corriere, il superiore, il responsabile, chi impartisce gli ordini e ci detta le norme comportamentali è a sua volta uno sfruttato, un inappagato che è utile alla causa del “padrone”.
Comunque il lavoro del corriere non finisce nel momento in cui si torna al deposito. Bisogna spedire la merce e sperare che la macchina legga correttamente tutti i codici a barre dei pacchi. Un pacco non letto comporta andare a cercarlo nelle ceste di smistamento, sempre che non sia già stato caricato nel camion. E a quel punto trovarlo sarebbe quasi impossibile. Un pacco non trovato significherebbe non avere la prova certa che il destinatario lo riceva e se durante il percorso il pacco si smarrisse l’azienda riceverebbe una multa. Inutile aggiungere che poi l’azienda rigirerebbe l’ammenda su chi l’ha inviato.
Ecco. Immaginate quindi con quale stato d’animo chi fa il corriere si reca al lavoro. Non comprano solo la forza lavoro. Si prendono anche la sua vita e la sua dignità.
Giordan Clau
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