Ma in sanità il problema è la eccessiva “regionalizzazione” o sono “le Regioni”?

Come direbbe Quelo: la seconda che hai detto!

Oggi tema caldo e complesso. Purtroppo mal si presta a trattazioni frettolose per cui … buona e faticosa lettura. Il tema è rappresentato da quella che molti lamentano come la  eccessiva regionalizzazione della sanità e quindi  la eccessiva autonomia delle Regioni in questo ambito. Lascio ad altri gli approfondimenti normativi ed il significato della modifica del Titolo V della Costituzione che di questa autonomia regionale costituisce il fondamento. Io mi occupo concretamente nei limiti delle mie conoscenze ed esperienze di come stanno effettivamente le cose sul campo.

Anticipo subito che in questo post esprimo un parere del tutto personale che offro come stimolo alla riflessione e, se possibile, al confronto. Parere peraltro facile da sintetizzare: più che ad essere eccessiva l’autonomia regionale è spesso inadeguato il livello delle politiche regionali ed inadeguata la funzione di verifica fatta dal livello centrale.

Il movimento anti-regionalizzazione viene fortemente alimentato da una serie di fatti importanti quali ad esempio: la diversità dei modelli organizzativi delle varie Regioni (si parla di 21 Servizi Sanitari tra Regioni e Province), la forte disomogeneità tra la qualità di questi sistemi sanitari regionali e la forte mobilità sanitaria tra le Regioni del sud e quelle del nord. La stessa pandemia ha evidenziato specie nella prima fase forti squilibri nell’impatto del Covid-19 nelle varie Regioni (tutti ricorderanno la santificazione del modello veneto e la unanime condanna del modello lombardo) oltre ad evidenziare orientamenti molto diversi tra le varie Regioni in termini di scelte strategiche. Tanto per dire, le due scelte a mio parere scellerate della Regione Marche (il Fiera Hospital di Civitanova Marche e lo screening di massa) sono state condivise da pochissime altre Regioni ed è evidente (sempre a me) che andavano stoppate subito dal livello centrale.

Perché a fronte di queste situazioni (ma altre potrebbero essere ricordate) continuo a pensare che il problema siano le Regioni e non la regionalizzazione? Perché qualunque Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno da una parte di garantire omogeneità nei risultati di salute e quindi garanzia per  tutti i cittadini di tutte le Regioni di poter accedere agli stessi servizi di una qualità adeguata, ma dall’altra ha inevitabilmente bisogno di declinare a livello regionale le indicazioni generali fornite dal livello centrale. Declinazione che può avvantaggiarsi anche di un forte grado di autonomia quale quello messo in discussione oggi.

A questo punto un po’ di informazioni di base da condividere vengono buone.  Si tratta innanzitutto di informazioni sul ruolo che comunque il livello centrale mantiene. A questo livello competono infatti:

  1. la definizione del livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ed i criteri di riparto del Fondo Sanitario Nazionale;
  2. la definizione dei cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza e cioè di quell’insieme di prestazioni e servizi cui tutti i cittadini hanno diritto di accesso e per i quali le Regioni hanno l’obbligo della erogazione;
  3. la emanazione di atti di indirizzo vincolanti sulla programmazione ed organizzazione dei servizi attraverso leggi, Decreti e accordi Stato-Regioni;
  4. la verifica sia della effettiva erogazione dei LEA da parte delle Regioni che l’effettivo trasferimento sul campo di quanto previsto nei vari atti di indirizzo.

Quindi da questa esposizione ridotta all’osso emerge come sia del livello centrale la funzione di regolamentazione, indirizzo e verifica, mentre alle Regioni spetta il compito di tradurre in pratica quanto stabilito a livello centrale. A questo punto qualche esempio ci può aiutare. La sua funzione di indirizzo lo stato la esercita ad esempio con:

  • il Decreto Ministeriale 70 del 2015 che fornisce i riferimenti per il ridisegno delle reti ospedaliere, territoriali e dell’emergenza;
  • il Piano Nazionale della Cronicità del 2016;
  • il Piano Demenze del 2014;
  • la Legge 38 del 2010 sulle cure palliative;
  • il Piano Nazionale per il governo delle liste di attesa (l’ultima edizione riguarda il triennio 2019-2021);
  • il Piano Nazionale della Prevenzione (l’ultima edizione è quella 2020-2025)

Questi documenti se letti con attenzione e soprattutto se applicati avrebbero un impatto molto positivo sulla qualità dei servizi offerti ai cittadini. Come lo avrebbero molti altri atti di indirizzo centrali su temi pure decisivi (malattie rare, telemedicina, ospedali di comunità, infermiere di famiglia, ecc.). E allora dove sta il difetto? Nel livello e nella qualità della loro traduzione operativa a livello regionale, traduzione che non può per logica essere gestita dal centro, ma che il centro dovrebbe verificare. Quindi l’attuale modello ha i suoi punti deboli nel funzionamento delle Regioni (soprattutto alcune) e nella carenza della capacità di controllo da parte del livello centrale.

Come avviene la verifica da parte del livello centrale? Avviene con alcuni strumenti del tutto inadeguati perché tardivi e poco accurati. Il controllo avviene attraverso due strumenti:

  • il cosiddetto sistema degli adempimenti e cioè un questionario che le Regioni sono invitate a completare l’anno dopo a quello di riferimento, questionario molto complesso che esplora soprattutto l’emanazione da parte della Regione di atti coerenti con gli atti di indirizzo centrali;
  • un sistema di indicatori con cu si misurano le performance in sanità delle diverse Regioni. L’ultima pagella con il voto che esce da questi indicatori fa riferimento al 2018 … e non siamo andati bene.

Per oggi mi fermo qui per non appesantire il post. Ma vorrei concludere con quelli che alla fine dei Convegni vengono definiti i take home messages:

  1. la sanità è un modo complesso che va studiato per far emergere e “sanare” le sue criticità;
  2. la presunta eccessiva autonomia regionale fa parte di questa complessità;
  3. prima di tornare indietro sulla autonomia regionale in sanità converrebbe approfondire l’effettivo contenuto delle regole che la consentirebbero e soprattutto rivedere tutto l’attuale sistema di verifica che è il vero punto debole dello “schema di gioco “ attualmente condiviso tra Stato e Regioni.

Claudio Maria Maffei

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