Per comprendere le conseguenze della situazione determinatasi a causa della pandemia e delle relative misure di contenimento occorre in primo luogo tenere conto del fatto che la psiche individuale partecipa della cosiddetta “mente sociale”. Con questa espressione s’intendono il repertorio di significati e l’orizzonte di senso che caratterizzano una cultura in una determinata epoca. Questo complesso di nozioni, sentimenti, credenze e rappresentazioni prende forma attraverso il sistema delle relazioni interpersonali e viene veicolato dal legame sociale, che correla il modo di pensare e di agire delle persone.
Quando però il sistema delle relazioni tende a disgregarsi e la mente sociale viene saturata da sentimenti di angoscia, paura, aggressività, la psiche individuale a sua volta tende a interiorizzare questo clima di disgregazione e può attivare meccanismi di difesa inconsci quali la negazione di parti della realtà, la dissociazione da tutto ciò che provoca angoscia e una razionalizzazione dei fatti che elabora una spiegazione rassicurante della realtà stessa. Naturalmente tali meccanismi di difesa non restano solo nella mente individuale, ma si estendono, come per contagio, alla collettività, orientando la mente sociale.
L’impatto di un trauma come l’evento della pandemia genera un malessere profondo che, sedimentandosi e permanendo nel tempo, diventa sofferenza sociale. Essa consiste in uno stato collettivo di angoscia e di disagio esistenziale che chiude la percezione del futuro e convince gli individui della mancanza di alternative alla situazione che si è determinata. Insorge così un processo di alimentazione reciproca tra disagio psichico individuale e angoscia collettiva.
Sono queste le radici che portano all’esplosione di fenomeni di negazionismo e di perdita di contatto con la realtà, di rancore permanente, di canalizzazione dell’aggressività contro categorie e figure che fungono da capro espiatorio. Perciò le manifestazioni e le prese di posizione che danno voce a tali sentimenti e reazioni non vanno prese come portatrici di istanze di per sé legittime e ragionevoli, ma vanno decifrate riconducendole alle cause e alle dinamiche profonde del contesto che le ha prodotte. Sembra evidente che non basta neppure una critica razionale, perché resta indispensabile diffondere elementi di conoscenza e di chiarificazione che spieghino il prodursi di queste reazioni, senza respingere o condannare il malessere individuale e sociale che esse esprimono, seppure con modalità distorte e tali da alimentare il disagio stesso.
Lo stato di profondo malessere psicologico determinato dal covid viene rinominato da alcuni studi recenti di psichiatria come “Stress da pandemia” (Biondi, Iannitelli, Covid-19 e stress da pandemia, “Rivista di Psichiatria”, 2020, n. 55) che mostra caratteristiche non del tutto coincidenti con quelle dello Stress post traumatico emergenti a seguito di gravi eventi catastrofici. Esso viene descritto, infatti, come “uno stress individuale comunitario, ‘non convenzionale’, sospeso, subacuto, persistente, di una situazione stressante perdurante e perturbante, (…) che si sviluppa attraverso diverse fasi, passando da uno stress acuto a un successivo stress cronico” (ibid, p.31).
Tale stato di fatto richiede sia alla persona che alla comunità sociale un difficile adattamento e resistenza alla convivenza con la minaccia del contagio e con le problematiche sociali, economiche e psicologiche derivanti anche dalle misure utilizzate per il contrasto al covid, (vedi il lockdown).
Le conseguenze sul piano psicologico sono il diffondersi di reazioni di crisi ansiose pervasive, di depressioni spesso severe e dell’esacerbazione di stati di disagio psichico sottesi o pregressi. La costrizione a convivenze già difficili e la drastica riduzione dei contatti sociali hanno portato all’aumento di casi di violenza domestica e anche dei casi di suicidio. Nel mondo infantile e adolescenziale, con le dovute differenze legate al diverso momento evolutivo, gli effetti sono non meno importanti: dall’isolamento, all’ansia, all’aggressività incontrollata e reattiva (si pensi al fenomeno delle risse), ai disturbi nel rapporto con il cibo nei bambini, alla disregolazione emotiva e di disorientamento nei minori disabili. A tutto questo si aggiungono la fatica e lo stress, l’ansia e la preoccupazione degli adulti.
La mia descrizione dei disagi psichici e psicosociali determinati dal covid-19 è inevitabilmente stringata e certamente alcuni risvolti sono stati tralasciati, ma spero sia sufficiente a dare un’idea d’insieme. D’altro canto, mi preme evidenziare l’attivazione rapida dei punti di sostegno psicologico realizzato sia dall’Ordine nazionale delle psicologhe e degli psicologi che dall’Ordine delle psicologhe e degli psicologi della Regione Marche in collaborazione con il “Gores” e le associazioni di psicologia dell’emergenza. Questo non tanto per riconoscere meriti, ma per evidenziare un esempio tra i tanti di come tanto l’uscita dalla sofferenza individuale quanto la possibilità di guarire la società dalla pandemia e dalle sue “cecità” pregresse, per tornare a coltivare il futuro, passa per l’attivazione della capacità di prendersi cura di persone e relazioni. Si tratta di riconoscersi responsabili gli uni degli altri e della terra che ci ospita.
Fiammetta Quintabà
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