La violenza in classe

La mattina del 29 Maggio uno studente di 16 anni di un istituto superiore di Abbiategrasso accoltella la sua insegnante di lettere, rea, a suo avviso, di avercela con lui per alcune note ricevute nei giorni precedenti. Note scaturite, a quanto pare, da comportamenti estremamente provocatori e disturbanti dell’allievo stesso durante le lezioni.

La croce viene riversata da molti commentatori del fatto, sulla scuola e sulla sua incapacità di educare e prevenire il disagio. Certamente non della scuola interessata, in quanto quello della violenza in classe è un fenomeno in crescita in molte scuole nazionali ed estere. In Italia si sono già verificati dall’inizio dell’anno 32 episodi analoghi di percosse o insulti agli insegnanti; eventi non legati esclusivamente ad aree geografiche pregiudizialmente considerate più a rischio come quelle del meridione ma anche a regioni del centro e del nord come Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto. Dunque un fenomeno in espansione segno di un disagio sociale giovanile che si sta allargando sempre più.

Se è vero che la scuola non riesce a far fronte a tale disagio, per la sua struttura rigida basata sul merito e sulla misurazione dei profitti a scapito delle relazioni umane e della cura integrale delle persone, è vero anche che la scuola stessa riceve dal tessuto sociale tutte le ferite che il Sistema culturale, economico, politico, infligge ad esso. Non si può neppure chiedere alla scuola di essere capace di sanare tutto ciò che il sistema stesso distrugge. Di fronte al dilagare della violenza tra i banchi, la proposta di realizzare presidi psicologici fissi negli istituti scolastici ci appare del tutto insufficiente, se non fuorviante: la società crea il disagio psichico e poi arruola schiere di psicologi per tentare di curarlo. Se è vero, come è vero, che occorre prevenire piuttosto che curare, occorrerebbe semplicemente prendersi cura delle persone prima che del mercato. In una società in cui la vita di un giovane si prospetta come una corsa contro gli altri per riuscire a farsi spazio, l’ansia del vivere può divenire insopportabile e generare l’esplosione della violenza. La scuola può far molto ma non può far tutto, non si può gettare su di essa responsabilità che non le spettano. La scuola può educare il rispetto, la pace, la gratuità, la cittadinanza, la legalità, la partecipazione…come strumenti di prevenzione e di costruzione del tessuto sociale; ma se c’è un sistema che distrugge continuamente tale tessuto, nell’esaltazione culturale dell’individualismo, della competizione, del profitto, del possesso e del potere, è ovvio che la scuola non ha alcuna possibilità di riuscire a ripararlo. Come turare le falle di una nave che continua a cozzare contro gli scogli… Essendo poi lo stesso sistema che amministra la scuola non ci si può neppure aspettare che il suo compito di prevenzione possa funzionare davvero, come infatti accade nell’esperienza reale quotidiana di milioni di insegnanti più occupati, (saturati e sfiniti) dalla burocrazia e dal mantra misurativo che dall’impegno educativo. Occorrerebbe almeno una scuola libera dal mercato, capace di indicare strade diverse per una società diversa, una scuola che dia speranza al futuro. Una scuola che sia strutturalmente concepita come promotrice e non come serva di un sistema socio economico, che abbia la possibilità di costruirlo e non di essere da esso costruita e condizionata. Un sistema sempre più violento come quello in cui viviamo non potrà impedire alla violenza di entrare sempre più nella scuola, neanche schierando nugoli di psicologi. Arriveremo allora al punto di dover mettere i metal detector all’entrata di ogni aula o affiancare alla lezione dell’insegnante una guardia armata.

Ferdinando Maria Ciani