La lezione dell’emergenza attuale insegna che l’errore mortale, di cui paghiamo le conseguenze, è basare l’esistenza personale, della famiglia, delle nazioni e della società mondiale sull’egoismo. Ma in fondo l’egoismo è un bersaglio sin troppo facile e rischia di restare una parola non spiegata. Tanto più che, quando lo condanniamo, tendiamo a parlare dell’egoismo degli altri. L’egoismo è l’effetto finale di una distorsione più profonda. La sua radice è l’angoscia di morte. Chi la segue si mette a vivere con un atteggiamento chiuso, per cui non vuole mai perdere nulla, anzi vuole prendere il più possibile. Prendere e trattenere solo per noi: accumulare.
Infatti il capitalismo è la civiltà dell’accumulazione.
Per questo bisogna competere, sfruttare, speculare, lacerando ogni volta il sistema delle relazioni: tra uomini e donne, tra adulti e nuove generazioni, tra popoli, tra chi gestisce il capitale e il lavoro e chi subisce questo potere. Dal guardare la vita con le lenti dell’angoscia vengono il senso di isolamento e l’atteggiamento competitivo, da questi viene l’attaccamento al potere. E viene da qui l’errore tragico della storia: la follia di fondare la società sul potere stesso.
In verità il potere non serve, al contrario ci rende tutti servitori, strumenti senza valore. È autoreferenziale, punta solo a espandersi, non ha riguardo per nessuno. Abbiamo costruito, nei millenni, società fondate sul potere sacrale e religioso, poi su quello politico di imperi, monarchie e stati sovrani, da ultimo su quello della finanza e della tecnocrazia. Questo ci ha portato sull’orlo dell’autodistruzione.
Non serve a niente organizzarsi per costruire un contropotere che ci liberi dal potere cattivo. Bisogna evitare, come dice De André in una canzone, di “diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. Molti credono di essere realisti pensando che ci saranno sempre rapporti di potere e tanto vale cercare di prenderlo, senza vedere che così perpetuano il sortilegio che è la rovina del mondo e senza capire che semmai è il potere che prende te.
Ma oggi nessuno può pensare di continuare così. E allora, che altro fare?
Qual è, davvero, la lezione dell’incubo attuale?
Essa dice: l’egoismo è la nostra prima fragilità, è prendere la vita contromano. Perché la vita è insieme. Chi dice “prima io” o “prima noi” va aiutato a rinsavire. Se nell’intero sistema delle relazioni (tra generi, tra generazioni, tra gruppi sociali, tra popoli, con la natura) impariamo la lezione, ripudiando la logica del potere, scopriamo la libertà di praticare tutte le forme di efficacia adatte ai viventi e al bene comune.
Se l’efficacia del potere è sempre mortifera, esistono forme di efficacia benigne: quella della responsabilità propria di chi si fa carico delle situazioni, l’efficacia del prendersi cura (la sola che oggi si riveli valida), l’efficacia del servizio, l’efficacia della deliberazione partecipata, per cui si arriva a decidere delle questioni collettive democraticamente, con percorsi dialogici, informati dalla conoscenza e condivisi. Allora si svolgono le funzioni di governo necessarie alla società, che significa non governo sulle persone, ridotte a sudditi, ma governo dei problemi, dando risposte efficaci e prevenendo le catastrofi. Chi svolge un ruolo simile potrà avere autorità, che è la funzione di chi fa fiorire il bene comune, non quella di chi comanda.
Perciò dobbiamo:
a) risanare ogni cuore e coscienza, a partire da noi stessi, dall’egoismo;
b) scoprire la fiducia nella vita comune e nella giustizia che tutela la dignità di chiunque non la sua avidità;
c) attivare tutte le forme di efficacia alternative al potere: la responsabilità, la cura, il servizio, la deliberazione partecipata, il governo dei problemi, l’autorità liberante. E il conflitto. Perché tutte queste forme di efficacia comportano una dura lotta. Perché chi detiene il potere non lo cederà mai spontaneamente.
Stavolta però il conflitto non sarà per eliminare qualcuno e prendergli il potere stesso. Il conflitto veramente politico è quello democratico e nonviolento che si attua nel denunciare ogni comportamento iniquo, nel coagulare la forza delle coscienze, nel risvegliare la formidabile energia della partecipazione, nel promuovere un progetto di società e un metodo nuovo. Bisogna agire per far valere questo progetto e questo metodo nello spazio pubblico e nella vita delle istituzioni. Di fronte a una pressione così popolare e organizzata i poteri autoreferenziali entrano in crisi e diventa possibile persino arrivare a ruoli di governo senza ripetere la solita logica tossica.
La strada iniziata con grande creatività dal movimento “Dipende da Noi” nelle Marche è questa.
È giovane e crescerà.
Roberto Mancini
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