Dove stanno le Marche? Ricorderete che qualche candidato della destra alle recenti elezioni regionali non conosceva neppure i confini della propria regione. E noi quale visione abbiamo? Le Marche non sono sospese nel vuoto, non sono la somma delle cinque province né sono solo una delle regioni d’Italia. È tutt’altro che ovvio ricordare che le Marche sono una comunità che è parte integrante dell’Europa e del mondo. Bisogna riflettere sul senso della nostra collocazione geopolitica. Vediamo quali sono le implicazioni della visione non provinciale ma autenticamente europea, cosmopolita e globalmente ecologica che ci ispira come movimento “Dipende da Noi”. Non parlerò qui di provvedimenti specifici e di interventi di settore, vorrei anzitutto condividere con voi i criteri di fondo per una prospettiva comune, perché se siamo d’accordo su quelli, su tutto il resto sapremo trovare le proposte operative migliori.
Anche ora, durante l’attuale emergenza sanitaria, l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea stanno facendo del loro peggio. Il simbolo di questa distorsione dei compiti dell’Europa forse stavolta è stato incarnato da Christine Lagarde, una che si è dedicata con gelida passione al servizio del denaro. Perciò a molti viene da dire: “Europa? no grazie”. L’Europa come tale appare un nemico, senza tante distinzioni. E si capisce bene questa esasperazione.
Tuttavia non bisogna rinunciare a distinguere, comprendendo la differenza tra ciò che va rifiutato e ciò che va salvato. Dico chiaramente che va salvato e attuato il sogno dell’Europa come comunità democratica. Un sogno che nacque nella visione del “Manifesto di Ventotene” del 1944 e nella resistenza di quanti seppero opporsi alle forze del totalitarismo. E nacque anzitutto dal grido delle vittime che furono deportate ed eliminate dal nazismo e dal fascismo, inseparabili nella malvagità. Quel sogno impegnava l’Europa a sviluppare la democrazia, compresa la democrazia economica, ed era già allora l’inizio di un processo storico che avrebbe potuto creare una società alternativa al capitalismo senza ricadere nel totalitarismo. Infatti, chi interpreta bene lo statuto dell’ordinamento democratico della società sa che esso è incompatibile con il capitalismo.
Non a caso nel progetto di tutte le grandi potenze antidemocratiche dello scacchiere geopolitico attuale – dagli Stati Uniti alla Russia sino alla Cina – c’è la cancellazione di quel sogno. Rinnegarlo sarebbe distruttivo per noi e per il mondo. Chi s’illude di ricostruire democrazie nazionali per via sovranista non vede né quanto il mondo sia una comunità interdipendente, né quanto il sovranismo populista e razzista sia pericoloso per la vita democratica perché è l’anticamera del fascismo.
Il problema è che il sogno dell’Europa si è attuato in minima parte, per lo più è stato tradito a causa dell’intreccio tra capitalismo globale ed egoismi nazionali. Tutte le questioni salienti della vita pubblica europea, a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, sono state affrontate in modo pessimo. Prima tra tutte è la questione della contraddizione tra potere del capitale internazionale e vita dei popoli, tra mercato e democrazia, tra egoismi nazionali e ordinamento costituzionale comune e solidale, dove il polo sbagliato di queste alternative ogni volta, sino a oggi, è prevalso. Avremmo dovuto avere una politica per la creazione di lavoro vero e per la sua tutela, una politica di equità fiscale omogenea, di uso democratico della moneta, di diffusione della proprietà pubblica e di cura dei beni comuni. Nel contempo la UE avrebbe dovuto assumere l’ecologia come chiave della ristrutturazione dell’economia, andando più avanti della solita alternativa tra neoliberismo e politiche keynesiane. Invece si è identificata totalmente con il neoliberismo. Dentro questo orizzonte c’era il nodo del riequilibrio tra aree sviluppate e aree impoverite, ma si è preferito acuire questa diseguaglianza. Il motto fascista “me ne frego” sembra il vero criterio operativo della UE.
Poi è tuttora irrisolta la questione del ripudio dell’antico vizio del colonialismo, legata all’esigenza di una politica equa di accoglienza e di cooperazione economica intercontinentale come risposta al fenomeno delle migrazioni coattive di massa e, ancor prima, al debito storico dell’Europa nei confronti dell’Africa. La voce dei popoli africani e delle loro maggiori guide spirituali ce lo ricorda di continuo, ma restiamo sordi. Chi si ricorda di Nelson Mandela, di Amilcar Cabral o di Leopold Senghor? Si sarebbe dovuto fare tesoro di una politica mediterranea di pace e di cooperazione. Invece il Mediterraneo è diventato un cimitero senza tombe e il risentimento dei popoli disprezzati viene esasperato. La totale incapacità politica della UE di agire per la pace nello scenario mediorientale, in particolare di fronte alla tragedia dei Palestinesi, dei Curdi e dei Siriani, è vergognosa. Abbiamo solo strategie di assenza oppure di respingimento: non solo verso i migranti, ma già tra gli stessi stati europei, dove ogni governo scarica sugli altri le difficoltà del problema. Analoghe osservazioni si possono fare sul tema delle politiche sociali, previdenziali, dell’eduzione e della ricerca, soffocate dal culto del mercato a guida finanziaria.
Da ultimo bisogna denunciare la disumanità con cui i principali Paesi europei, lasciando sola l’Italia, stanno decidendo di non arginare la diffusione del virus Covid-19 pur di mantenere le loro posizioni nella competizione economica tra le nazioni: le vite umane non contano, la macchina produttiva non può fermarsi. La posizione cinica e stupida di Boris Johnson, nella Gran Bretagna isolazionista, non è che la versione sfrontata della posizione ipocrita della Germania o della Francia. Così in un colpo solo vengono definitivamente alla luce sia l’indole criminale e omicida del capitalismo che la vacuità della UE.
Per questa sua incredibile miseria etica, politica, progettuale e umana la UE è odiata. Ma la reazione del rifiuto dell’idea stessa di Europa serve solo a spingerci tra le braccia dei nazionalismi regressivi. Bisogna uscire da questa falsa alternativa tra neoliberismo e sovranismo combattendo la forma attuale della UE e i suoi dirigenti per riprendere invece il cammino di realizzazione dell’Europa come comunità democratica. I pilastri della nuova costruzione devono essere: una vera Costituzione; lo sviluppo della democrazia economica ed ecologica abbandonando sia il neoliberismo che quelle “politiche di austerità” che sono continui furti ai danni dei popoli; la ristrutturazione ecologica dell’economia e degli stili di vita; il ripudio del colonialismo e una politica di effettiva cooperazione internazionale nell’ottica della costruzione di un nuovo ordine mondiale; una strategia integrata e civile di accoglienza delle persone migranti e di ri-cittadinanza per tutte/i; una cultura avanzata dei diritti umani di ogni specie e di armonia tra tutte le differenze positive, a partire dalla differenza di genere.
Il criterio della nuova Europa potrà essere solo quello definito dall’etica della dignità indissolubile dell’umanità e della natura. Tale prospettiva si attua mediante la cura del bene comune e la giustizia verso tutte le classi oppresse (economiche, generazionali, etniche, di genere) nello spirito del cosmopolitismo democratico.
E le Marche che c’entrano? C’entrano in modo essenziale, perché una visione così ampia, democratica e adeguata alla storia collettiva non verrà realizzata da nessun centro di potere; potrà solo maturare grazie all’impegno delle comunità civili democratiche: territorio per territorio, regione per regione, nazione per nazione. Solo in un sforzo collettivo di democratizzazione dal basso, a partire dalle città e dalle regioni, potrà nascere la nuova Europa, l’unica che non tradirà più il sogno di quanti sono morti per fermare il nazismo e il fascismo, l’unica che non abbandonerà più quanti oggi muoiono di neoliberismo, sessismo, razzismo, neofascismo.
Quando diciamo “dipende da noi” non lo affermiamo per chiuderci in un’isola felice, ma vogliamo dire che qualcosa di essenziale della vita dell’Europa e del mondo intero dipende già da come sapremo agire nella nostra regione, facendone una comunità aperta, solidale e avanzata, che fa la propria parte per il bene del pianeta e di chiunque lo abita.
Roberto Mancini
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