La democrazia si difende praticandola

Purtroppo la strage di Bologna non è certo l’unica aggressione subita dalla comunità nazionale. Mafie, speculatori di ogni genere, potenze straniere, ceto politico corrotto, multinazionali, imprese arroganti verso i lavoratori e parassitarie verso lo stato, gruppi neofascisti, società segrete, servizi deviati, improvvisati capipopolo: tutti questi soggetti hanno operato senza tregua per disarticolare la vita democratica del nostro Paese. E questo ha provocato, oltre al degrado delle istituzioni e della società, una moltitudine di vittime. Oltre che alle generazioni nuove e a noi stessi, dobbiamo a queste vittime un impegno determinato, non occasionale, a rigenerare la democrazia.

Va ricordato che essa non si può ridurre all’idea di un regime politico dove vince la maggioranza. Il fondamento e il criterio della democrazia sono qualitativi: la democrazia è una forma di convivenza e di ordinamento della vita pubblica dove la dignità umana (di ogni persona e dell’umanità nel suo insieme) viene al primo posto. Oggi sappiamo che questo valore incondizionato va armonizzato con il valore della natura. Tutto il resto (economia, politica, educazione, informazione, tecnologia, istituzioni) dev’essere al servizio di questi due valori, che sono la sostanza del bene comune. Perciò la democrazia chiede di mantenere desta la coscienza collettiva, oltra a quella di ciascuno, che trova la sua espressione basilare nella Costituzione della Repubblica.

Inoltre, si tratta di adottare sempre il metodo democratico, che non si riduce mai al momento del voto, ma implica la partecipazione dei cittadini in modo da riconvertire ogni volta il potere in servizio, cura del bene comune, decisioni costruite dialogicamente. E la costruzione delle risposte ai problemi collettivi deve avvenire facendo attenzione a restituire i suoi diritti a chi è escluso o più marginale. Ha scritto Gandhi: “solo un governo che protegge pienamente il più debole tra i suoi cittadini e tutela tutti i suoi diritti può essere descritto come compiutamente democratico. Un tale governo non è definito dalla regola della prevalenza della maggioranza, bensì dalla protezione degli interessi anche del più piccolo membro della comunità civile”. 

Se dunque la democrazia, prima di essere una forma di governo, è una forma di vita e un metodo, i Comuni, le Province e le Regioni ne sono i nuclei nevralgici perché è in questi spazi di convivenza che l’ordinamento democratico trova attuazione quotidiana. Il movimento “Dipende da Noi” si è preso questo preciso impegno nelle Marche, soprattutto per lo stile e il metodo che immette nel circuito della politica. Infatti sappiamo che la democrazia si difende praticandola e solo così si sradicano le forze neofasciste non solo nel voto, ma nella mente delle persone. Chi pensa di fermarle con finti cartelli elettorali o con appelli del penultimo giorno prima del voto non sa di che cosa parla. Essere antifascisti significa praticare tutti i giorni il metodo della partecipazione eticamente orientata secondo i principi della Costituzione, della ricerca e della conoscenza, del rispetto e del dialogo, della progettazione condivisa.

Per queste stesse ragioni “Dipende da Noi” si oppone nettamente al disegno di tagliare un terzo della rappresentanza parlamentare e si schiera con forza dalla parte del NO al referendum. In modo scorretto esso è stato associato alle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, così non pochi saranno distratti rispetto alla posta in gioco. L’idea che il Parlamento sia inutile, che sia un costo da tagliare, che vada sostituito con consultazioni on line prepara esiti autoritari e va nella direzione del populismo e del presidenzialismo. Questo sì, in un Paese come l’Italia, significa favorire le forze neofasciste.

Abbiamo bisogno non certo di ridurre la rappresentanza, ma di renderla effettiva integrandola con la democrazia partecipata sui territori. Se fosse approvata la riduzione dei parlamentari, l’effetto sarebbe quello di avere rappresentanti più distanti dai cittadini e più manovrabili dai capi di “partiti” ridotti a meri gruppi di potere. Come si vede, capita spesso che le istituzioni democratiche siano gestite da chi non crede nella democrazia. Perciò l’impegno alle elezioni per la Regione e quello per il NO al referendum convergono in un unico atto di responsabilità. Più saremo consapevoli delle ragioni profonde di quello che insieme stiamo costruendo e più la nostra azione porterà frutti alle Marche, dunque indirettamente a tutto il Paese.

Roberto Mancini

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