Una “buona” politica sanitaria che persegua i due grandi obiettivi di una assistenza efficace ed equa ha bisogno di una “buona” classe dirigente: si può anzi tranquillamente affermare che è impossibile una buona politica sanitaria senza una buona classe dirigente (e viceversa). Qui per classe dirigente intendiamo quel mondo fatto dalle direzioni dei servizi regionali e dalle direzioni aziendali che dovrebbe svolgere quel ruolo delicatissimo di collegamento tra il mondo di chi prende le decisioni politiche (la Giunta) e il mondo di chi sul campo deve tradurre in operatività le indicazioni della politica (e cioè gli operatori ed i dirigenti “sul campo”). Rientrano sicuramente nella definizione di classe dirigente anche quelli che ho appena chiamato dirigenti “sul campo”, quali i direttori di Dipartimento e di Unità Operativa, ma non sono quelli di cui parlerò qui. Qui si parla di chi opera attorno a Presidente ed Assessore, di quelle figure che sono nella cabina di comando.
In questa sede si cercherà di fare qualche ragionamento su quali sono le caratteristiche che (a mio parere, è ovvio) la classe dirigente così intesa dovrebbe avere. Si tratta di opinioni che mi sono fatto in decenni di esperienza di direzione aziendale e regionale nelle Marche e che ho maturato negli anni fruttuosi della pensione, che ti garantiscono un punto di vista autonomo e distaccato.
Da un punto di vista delle competenze tecniche il “buon” dirigente dovrebbe:
- avere capacità progettuale e quindi una abitudine a partire dai dati, per fare analisi, individuare priorità, prospettare soluzioni, avviare interventi, verificarne l’impatto, modificarne l’impostazione, metterli a regime e verificarli di continuo;
- avere una capacità di lettura complessiva del sistema e quindi essere capace di interventi che tengano conto dell’elevato numero di interrelazioni che lega tutte le componenti del sistema da quelle organizzative a quelle professionali;
- avere come strumento abituale di lettura della realtà gli strumenti della qualità e della epidemiologia che gli consentono di capire in ogni situazione qual è il peso delle varie dimensioni di un problema come ad esempio: l’accessibilità, l’adeguatezza delle risorse umane, tecnologiche e strutturali, l’appropriatezza clinica e organizzativa, la centralità dei pazienti, l’equità, la sicurezza e la soddisfazione degli operatori e dei
Dal punto di vista delle competenze relazionali il buon dirigente dovrebbe:
- avere capacità di ascolto e un atteggiamento di umiltà verso gli operatori ed i cittadini perché per lui come per il politico vale il discorso che della stragrande maggioranza dei problemi ne sa infinitamente meno di colui che sta sul campo e di chi quei problemi li soffre;
- avere capacità di autonomia di giudizio e di proposta rispetto a chi esercita il potere del governo politico della sanità;
- avere capacità di coinvolgimento e motivazione dei collaboratori.
Dal punto di vista degli atteggiamenti il buon dirigente si porta dentro continuamente alcune domande:
- quali sono le criticità di maggior peso che al momento sono irrisolte?
- cosa si può fare per risolverle?
- quali sono le innovazioni che si dovrebbero apportare nei ruoli professionali, nella organizzazione del lavoro e nella struttura dei servizi per migliorare quelle criticità?
Dal punto di vista dello stile di comunicazione il buon dirigente:
- dimostra consapevolezza delle criticità;
- evita la propaganda (a quella ci pensa la politica);
- è propositivo;
- assume impegni espliciti con obiettivi e scadenze;
- usa le “nuove” parole della sanità come “reti” e “percorsi clinici” dando loro un senso organizzativo compiuto e non solo come espressioni gergali.
Un dirigente così come si forma? Buoni dirigenti si nasce o si diventa? Certamente il ruolo di leader quale un buon dirigente dovrebbe essere richiede predisposizione, ma molto si può apprendere sia nei corsi di formazione manageriale che – e direi soprattutto – sul campo. Si diventa buoni dirigenti solo in “buon” sistema che spinge ad avere competenze e caratteristiche come quelle che ho sommariamente descritto. E con un sistema formativo che sia espressione di quel buon sistema.
Nelle Marche come siamo messi? Partiamo da questa constatazione facilmente dimostrabile: le Marche hanno gravi criticità irrisolte e non hanno né una agenda, né un metodo e né una organizzazione per affrontarle. Tutto questo è solo colpa della politica? Forse un po’ di riflessione su questo aiuterebbe a riragionare sul ruolo nella sanità delle Marche della classe dirigente.
Claudio Maria Maffei
Devi essere connesso per inviare un commento.