Ieri è stata resa disponibile una nuova bozza del cosiddetto Recovery Plan, ovvero il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un bel tomo di 319 pagine di cui una quindicina dedicate specificamente alla sanità o meglio alla salute, che rappresenta la Missione 6 del PNNR. La lettura di questo documento è ostica per i non addetti e quindi provo a sintetizzare il contenuto di queste pagine sulla sanità cercando di estrapolarne gli elementi più significativi. Ad una prima lettura le cose che mi hanno colpito di più sono l’enfasi sulla assistenza territoriale, la genericità sulla rete ospedaliera, un modo nuovo di vedere la prevenzione, l’impegno per un adeguamento tecnologico e strutturale degli ospedali e la rilevanza data alla cosiddetta digitalizzazione sulla sanità. In realtà ci sono diversi altri spunti, ma ad una prima lettura questi sono quelli che mi sono rimasti più impressi. Io mi limiterò oggi a qualche considerazione sul primo punto e cioè il ruolo dei servizi di assistenza territoriali.
A proposito di territorio, se uno legge il PNRR (abituatevi a questo acronimo!) si fa l’idea che questo Piano abbia fatta sua la lezione che a parole tutti hanno capito: la salute si tutela soprattutto fuori degli ospedali e quindi ogni sforzo va fatto per portare l’assistenza vicino a dove le persone vivono (la cosiddetta sanità di prossimità) e quindi al loro domicilio e in strutture “leggere” fortemente distribuite sul territorio. Un ruolo importante in questa “territorializzazione” dell’assistenza viene data dal Piano alla integrazione socio-sanitaria e alla telemedicina. Apparentemente niente di nuovo ma a ben vedere qualcosa di nuovo c’è. Ad esempio c’è di nuovo (o almeno di parzialmente nuovo) il riferimento alle Case della Comunità, un tipo di struttura che fa riferimento a quelle che nella Regione Marche vengono chiamate Case della Salute. Vediamo cosa dice il PNRR: “La Casa della Comunità diventerà la casa delle cure primarie e lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. È finalizzata a costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso una infrastruttura informatica, un punto prelievi, la strumentazione polispecialistica, e ha il fine di garantire la presa in carico della comunità di riferimento. “
Ahi ahi ahi siamo al solito italico vizio: nomi nuovi a cose vecchie! Sì perché queste funzioni attribuite alle Case della Comunità sono davvero tanto simili a quelle attribuite negli atti nelle Marche alle Case della Salute. Dove può stare la differenza (e sarebbe davvero una differenza importante): nel fatto che con le Case della Comunità si dovrebbe passare dagli atti ai fatti. Perché le Case della Salute nelle Marche sono rimaste quasi solo sulla carta.
Il PNRR prevede poi l’Ospedale di Comunità di cui parla in questi termini: “… l’Ospedale di Comunità, ovvero una struttura sanitaria della rete territoriale a ricovero breve e destinata a pazienti che necessitano interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata, di norma dotato di 20 posti letto (con un massimo di 40 posti letto) e a gestione prevalentemente infermieristica, tale da contribuire a una maggiore appropriatezza delle cure e determinare una sostanziale riduzione di accessi impropri ad altre prestazioni (come quelli al pronto soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero).”
Anche qui niente di nuovo, a meno che anche in questo caso miracolosamente il PNRR (imparato sì questo acronimo?) non trasformi gli attuali Ospedali di Comunità che già ci sono in strutture effettivamente in grado di garantire davvero la continuità tra domicilio ed ospedale, cosa che adesso non avviene in modo efficace.
Un’altra pseudo-novità del PNRR sulla assistenza territoriale è l’importanza data alla assistenza domiciliare. Anche qui un breve stralcio dal Piano: “L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee)… L’investimento mira a:
- identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione);
- realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale;
- attivare 602 Centrai Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza.”
Dove nascono delle forti perplessità su questo (ovviamente auspicabilissimo) potenziamento del territorio previsto dal Recovery Plan? Da due considerazioni. La prima riguarda il fatto che il potenziamento della assistenza territoriale viene visto nel PNRR come un programma soprattutto di tipo strutturale e tecnologico, quando il problema è soprattutto di tipo culturale: la politica che ha governato la sanità italiana e la sta governando non sa più da anni ( a parte alcune eccezioni regionali) cosa sia l’assistenza territoriale e di conseguenza i cittadini a loro volta non sanno cosa essa sia e quindi non ne avvertono più di tanto l’esigenza. E questo ci porta alla seconda considerazione: se non si vincola il potenziamento della assistenza territoriale alla razionalizzazione di quella ospedaliera quel potenziamento continuerà a rimanere sulla carta. E questi vincoli il PNRR non li mette o li dà per scontati, il che sarebbe un errore gravissimo a mio parere.
Arriviamo così alle cose di casa nostra: gli orientamenti della attuale Giunta delle Marche di fatto sono orientati allo smantellamento di quella poca sanità territoriale che c’è per rilanciare un modello di assistenza sanitaria vecchio di almeno qualche decina di anni, un modello centrato su una rete ospedaliera diffusa che sul piano della propaganda elettorale (purtroppo) funziona. In questo contesto la probabilità che le risorse del Recovery Plan le Marche le useranno male corrisponde ad una certezza.
Il Piano Regionale di Resistenza e Resilienza dovrà essere oggetto di un confronto politico serio cui la nuova Giunta andrà costretta. E dovrà essere l’occasione per cominciare a parlare ai cittadini di una sanità diversa che davvero pensa alla loro salute.
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