Nei decenni della globalizzazione, oltre alla diseguaglianza economica e delle condizioni generali di vita che divide drasticamente l’umanità in sommersi e salvati, come diceva Primo Levi, è esplosa la contraddizione tra la scala globale dei problemi e la ridotta portata d’azione dei soggetti democratici che devono affrontarli.
Faccio un sommario elenco delle sfide principali: l’oppressione determinata dal capitalismo finanziario e l’impoverimento di ampi strati della popolazione mondiale; la distruzione del valore del lavoro; la devastazione degli equilibri della natura, che implica, tra i moltissimi danni che produce, anche l’insorgere delle epidemie; l’esplosione delle migrazioni coattive di massa e la crescita del razzismo; la corsa permanente al riarmo e i conflitti bellici in atto; la subordinazione delle donne alla mentalità patriarcale con tutte le violenze che ne derivano; la forte riduzione delle democrazie nel mondo e l’aumento dei regimi autoritari o totalitari; la diffusa negazione del diritto all’educazione, all’istruzione e alla cultura per le nuove generazioni.
A fronte della dimensione globale di tutte queste sfide pesantissime, gli attori istituzionali che dovrebbero costruire risposte positive di fatto hanno proporzioni locali, raramente nazionali, mai continentali e mondiali. Infatti possiamo avere alcuni Comuni virtuosi, ma è già difficile trovare Regioni governate con saggezza. Se saliamo al livello dei governi nazionali e delle unioni continentali, come ad esempio l’Unione Europea, cadono le braccia non solo per l’inadeguatezza di tali soggetti, ma spesso per il fatto che li troviamo collocati sul versante dei fattori negativi anziché su quello dei protagonisti del riscatto della democrazia. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, che resta un organismo irrinunciabile come istituzione mondiale, di fatto è sempre più screditata e inefficace.
Il vuoto di iniziativa democratica è stato in parte occupato, in questi anni, dalle associazioni del volontariato, dalle organizzazioni non governative, dai movimenti popolari transnazionali. Chiamare questi soggetti con l’espressione “terzo settore” è segno di miopia, sia perché significa ghettizzarli come l’ultimo settore (dopo il mercato e dopo lo stato), sia perché non si capisce che invece essi sono semmai il settore avanzato. Lo sono perché vanno ad agire sulla frontiera delle contraddizioni globali. Oggi in tutti gli ambiti più problematici su scala mondiale non troviamo le istituzioni del potere politico che avrebbero il dovere di intervenire, troviamo il volontariato più consapevole, le organizzazioni non governative e i movimenti popolari. È pretestuoso additare i casi di chi usa queste sigle per loschi interessi: comportamenti illegittimi ci sono in tutti i campi e questo non scalfisce la credibilità degli autentici soggetti di democrazia internazionale dal basso.
Non a caso essi si attirano l’ostilità sia dei poteri economici dominanti che dei governi e dei partiti sovranisti. La loro coraggiosa iniziativa disturba le convenienze, i privilegi e le menzogne di chiunque voglia neutralizzare lo sviluppo della vita democratica nel mondo. Perciò una vasta parte dell’opinione pubblica viene abilmente sobillata all’odio contro il “buonismo” di quanti si impegnano in questi organismi o movimenti. Il che accade soprattutto se si tratta di colpire donne-simbolo, come nel caso di Greta Thunberg, di Malala Yousafzai, di Carola Rackete o persino di Liliana Segre. Ieri è stata liberata Silvia Romano e questo è un grande evento di festa, atteso da lungo tempo. Ma anche lei è stata insultata come una “villeggiante” che “se l’è andata a cercare”.
La prima indicazione emergente da questa situazione generale dice che ormai dev’essere chiaro che la vera frontiera da sorvegliare non può essere più quella tra le nazioni, ma è quella tra l’umano e il disumano, tra la democrazia e il totalitarismo. Tutti i soggetti popolari, civili, sociali, culturali e di economia alternativa che promuovono democrazia su scala transnazionale stanno disegnando, tra mille ostacoli, il profilo di un mondo sostenibile umanamente ed ecologicamente. Le unioni continentali, i governi nazionali e i governi regionali devono smettere di contrastarli, anzi devono raccogliere la loro lezione etica, politica e progettuale. L’Agenda 2030 dell’ONU, a fronte dell’arretratezza dei poteri costituiti, risulta sempre più un documento retorico che, in fondo, non disturba nessuno sotto il comodo slogan dello “sviluppo sostenibile”.
La seconda indicazione che va presa in seria considerazione dice che, in una situazione dove i poteri globali e quelli nazionali sono male orientati e gestiti, diventa cruciale la funzione propulsiva dei soggetti trasformativi intermedi. Sono tali, anzitutto, i movimenti e le organizzazioni non governative su scala transnazionale perché, nel mondo, si pongono nello spazio tra gli stati e la comunità umana nel suo insieme. Poi sono tali i movimenti di impegno civile regionale perché, nell’ambito nazionale, si pongono nel punto di congiunzione tra i comuni o i diversi territori, da una parte, e la Regione, dall’altra. I governi e i partiti oggi, con rare eccezioni, sono soggetti di pura autoconservazione. Indicativa, a riguardo, è la pessima figura che hanno fatto in questi mesi i presidenti di molte Regioni italiane, intenti soprattutto a rivendicare le pretese dell’egoismo localistico.
Invece le organizzazioni non governative, le associazioni del volontariato critico, i movimenti popolari e i movimenti di impegno civile regionale sono soggetti di trasformazione democratica. E lo sono perché tendono a realizzare la democrazia portandola all’altezza delle sfide del nostro tempo, perché ovunque lottano sulla frontiera tra l’umano e il disumano.
La terza indicazione proveniente dal loro impegno dice che bisogna partire anzitutto dalla condizione di quanti sono trattati come non-persone, quasi fossero scarti da eliminare. Come si possono rivendicare i propri diritti, l’efficienza dei servizi, la vicinanza delle istituzioni, la trasparenza nella gestione della cosa pubblica, se poi non ci si interessa delle persone che a forza sono tenute fuori dallo spazio delle tutele costituzionali? Penso a tre situazioni negativamente esemplari e inaccettabili: la condizione dei cittadini e delle cittadine straniere in Italia, la condizione dei senza reddito e senza dimora, la condizione delle persone detenute.
I migranti, i rifugiati, persino le figlie e i figli nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri non hanno accesso ai diritti umani fondamentali per il lavoro, la salute, la casa e ciò perdura anche nel periodo della pandemia. Molti di loro continuano a essere sfruttati nell’agricoltura e in altri comparti economici, ma per lo stato italiano restano inesistenti. Paesi come il Portogallo si sono svegliati, procedendo all’inclusione di questi cittadine e di questi cittadini nello spazio delle tutele costituzionali, In Italia invece sono ancora in vigore i “Decreti sicurezza” di Salvini.
Per i senza reddito e i senza dimora le istituzioni pubbliche delegano tuttora gran parte del loro ruolo alla Caritas e ad altre associazioni di volontariato. Che dire poi del degrado a cui sono costrette le persone detenute? Anche sotto la minaccia della pandemia del covid-19 non si è riusciti a mettere mano a una soluzione decente per quanti, secondo la Costituzione, devono conoscere un percorso di riabilitazione sociale, non certo una negazione della loro dignità e anche della tutela della salute.
Un movimento di impegno civile come Dipende da Noi deve assumere come propria priorità l’avvio di un processo di restituzione dei diritti a tutte queste persone per quanto è di competenza della Regione. Ma bisogna ricordare che questa competenza non è mai puramente amministrativa e geografica, perché resta in primo luogo e comunque una competenza umana ed etica che deve trovare attuazione politica.
Roberto Mancini
Devi essere connesso per inviare un commento.