Raccogliamo l’invito di Roberto Mancini a dibattere delle prossime elezioni politiche e proveremo a farlo tenendoci lontani da artifici retorici e formulazioni politiciste.
Noi riteniamo che il nodo relativo alle politiche 2023 sia ineludibile da DdN e il motivo, già evidenziato da Roberto, è semplice: la mancanza di spazio politico è un problema di tutti noi.
Siamo d’accordo anche sul fatto che non possiamo inventarci una terza strada rispetto alle due presenti nel campo della sinistra e, aggiungiamo noi, non possiamo inventarla perché semplicemente non esiste.
Di conseguenza, la “non scelta” non sarebbe un’opzione praticabile ed è lo stesso Roberto a criticare, indirettamente, l’ “ illusione di protestare tenendosi lontani dal voto”: non prendere posizione, continuando a confinare l’esperienza di DdN all’ambito regionale, lancerebbe un segnale di disinteresse o debolezza e porterebbe all’appiattimento del movimento.
Analizziamo allora le due opzioni in campo: da una parte il cosiddetto “campo largo” a guida PD, dall’altro il “campo ristretto” della sinistra.
Una discussione intorno alle opportunità politiche riservate dalle due opzioni andrebbe affrontata sul piano del metodo e dei contenuti e non certamente su quello dei numeri.
Perché non sui numeri? Perchè l’esperienza ci dimostra che se la sinistra autonoma dal PD raccoglie poco, alla sinistra alleata del PD le cose non vanno sicuramente meglio.
Quale sarebbe allora, ci chiediamo, il senso politico di star dentro ad un’alleanza innaturale e senza avere gli adeguati rapporti di forza?
Nel 2008 una sinistra con percentuali a doppia cifra uscì a pezzi dal governo Prodi e il risultato finale fu l’irrilevanza elettorale.
Lo stesso M5S, dall’alto del suo 34%, è stato devastato dal balletto delle alleanze di governo che, nel tempo, hanno snaturato la propria vocazione antisistema.
Restano allora metodo e contenuti, le cui declinazioni sono decisive nel tentativo di mettere insieme ed organizzare un blocco sociale e politico radicale e di massa.
Senza radicamento nella società, senza un intreccio profondo tra conflitto sociale e lotta parlamentare non si pongono le basi per avere quegli adeguati rapporti di forza che permetterebbero di incidere realmente sulle scelte dei governi.
E allora, come immaginiamo questa costruzione?
La immaginiamo come ce la raccontiamo da sempre: interna e utile alle classi popolari.
Se è questo, se siamo e vogliamo questo, come potremmo prendere in considerazione il “campo largo” di coloro che oggi, più e meglio delle destre, si muovono contro gli interessi delle classi popolari?
Il governo Draghi ha avuto il merito di aver fatto chiarezza su cosa sia realmente il Partito Democratico, che oggi si presenta come il suo più strenuo difensore, tanto che Letta è arrivato a minacciare di negare il futuro accordo elettorale a Conte qualora il M5S dovesse sfiduciare l’attuale governo.
E cosa rappresenta l’attuale governo?
Rappresenta tutto ciò contro cui noi lottiamo quotidianamente, e ogni voto consegnato al Partito Democratico è un voto consegnato alla perpetuazione di questo ignobile sistema.
Costruire l’alternativa al PD vuol dire essere contrari alle privatizzazioni e per la difesa dei beni comuni, vuol dire essere per la pace e contro l’invio delle armi, vuol dire essere contro la Nato e per un’Europa solidale, vuol dire essere contro lo sfruttamento dei lavoratori e per l’aumento dei salari, vuol dire essere per l’intervento pubblico dello Stato e contro gli sprechi e gli abusi del PNRR, vuol dire essere contro lo strapotere dei padroni e per garantire a tutte e tutti una vita dignitosa, vuol dire investire in scuola e sanità pubblica e non in spese militari.
Se diciamo di essere questo, dobbiamo far seguire i fatti alle parole.
Come primo atto, quindi, smettiamo di considerare il PD un interlocutore affidabile e proviamo a parlare direttamente alla persone.
Questo è quello che hanno fatto Syriza in Grecia o la France Insoumise in Francia, i quali hanno coerentemente tenuto una linea di assoluta opposizione alle politiche neoliberiste dei partiti socialisti.
In Francia Melenchon raccoglie i voti popolari dei gilet gialli e più in generale degli strati sociali in difficoltà, in Italia il Partito Democratico raccoglie i voti dei quartieri altolocati e vanta il coraggio di fare scelte impopolari.
In un quadro del genere, noi non abbiamo alcun dubbio su dove dovremmo stare e giriamo la domanda ai compagni e alle compagne di Dipende da Noi: dove pensiamo debba stare DdN? Con chi è parte del problema o con chi mette in campo un progetto di alternativa al sistema?
Siamo coscienti delle difficoltà interne di DdN in una situazione in cui i due maggiori partiti presenti al suo interno sono schierati su posizioni diverse, ma è anche il momento di scelte coerenti e coraggiose.
Facciamo allora un accenno al metodo, consci del fatto di poter risultare fastidiosi ma, come abbiamo premesso all’inizio, la finzione non è il nostro punto forte.
Il percorso “Verso l’Unione Popolare”, che ha visto Roberto Mancini aderire tra i primi ai contenuti dell’appello, è tutto da costruire. Saranno le assemblee sui territori a determinarne la direzione e le assemblee le costruiscono, banalmente, coloro che partecipano. Cosa ci sarebbe di improvvido, settario e populista in tutto questo, citando lo stimolante intervento di Mauro Borioni?
Come si può definire “percorso dall’alto”, citando l’altrettanto interessante intervento di Fabrizio Leone, un percorso che ad oggi ha formulato esclusivamente una chiamata alle armi e che nasce esattamente come è nato Dipende da Noi, con partiti e società civile fianco a fianco e un leader, Roberto, riconosciuto ancor prima di iniziare?
Dispiace tuttavia constatare questo ricorrente accostamento della locuzione “dall’alto” ai partiti, come se i militanti di partito non discutano al loro interno, come se i militanti di partito non li trovi davanti ad una fabbrica per un picchetto, o davanti ai container di chi ha perso tutto con il terremoto oppure davanti ad una scuola a distribuire volantini contro l’invio di armi.
Chiudiamo con questa riflessione: se auspichiamo percorsi dal basso, perché chiedere unità ai segretari di SI e PRC? Ma soprattutto, su quali basi si chiede l’unità a chi vuole stare col PD e a chi insiste sulla strada dell’alternativa al PD? Siamo apertissimi a comprendere le ragioni di queste richieste, ma ad oggi, al di là di appelli generici all’unità, queste ragioni restano ignote.
Cosimo Del Faro e Alessandro Fortuna
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