In un recente momento formativo realizzato da Dipende da Noi, e dedicato alla geopolitica e agli scenari internazionali, è stato chiaro a chiunque abbia a cuore le sorti della democrazia che quello dell’informazione è un terreno di lotta decisivo. Senza informazioni condivise non si dà conoscenza collettiva (sebbene, sia chiaro, le “informazioni” e i “dati” vanno compresi, interpretati e riconosciuti dentro un orizzonte di senso). Ampliando il raggio delle considerazioni troviamo che tre sono i grandi ambiti dove si intrecciano, nell’epoca digitale, aspetti vitali che vanno dall’educazione all’istruzione, dalla ricerca alla costruzione del consenso. La scuola è uno di essi, radicalmente da rifondare, ma ci sono anche la televisione e il mondo dei social e di internet. Anch’essi vanno ripensati profondamente, poiché il linguaggio delle immagini in movimento è potente e capace di penetrare nel fondale psichico degli umani bypassando i filtri del ragionamento e dei processi cognitivi cosiddetti “superiori”. Ne segue un diffuso condizionamento di massa, capace di orientare l’opinione pubblica verso esiti populisti o semplicemente passivi e adattivi rispetto all’esistente.
Qualunque forza politica, che non accetti la deriva socioculturale odierna, è chiamata a costruire posizioni coerenti ed efficaci che incidano su tutte le aree della vita comune attraversate da pensieri, idee, informazioni e letture del reale. Se non vogliamo che l’accesso a una parte dei saperi fondamentali per l’esercizio della democrazia resti in mano ai soliti noti (soprattutto al Gafam, Google-Amazon-Facebook-Apple-Microsoft) dobbiamo sviluppare un pensiero all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Diversamente da chi aderisce al culto delle nuove tecnologie e dell’innovazione fine a se stessa, mi sembra fertile mantenere una posizione critica capace di un doppio riconoscimento: a) le tecnologie digitali sono convergenti, puntano a una crescente integrazione, e non sono affatto “neutre”: fino a quando saranno al servizio del capitalismo non potranno veicolare alcun tragitto di emancipazione per gli umani (ecco perché è fondamentale che l’ibridazione in corso venga governata e le suddette tecnologie siano addomesticate dalla cultura); b) diventa necessario promuovere un’educazione all’uso dei mezzi multimediali, nonché battersi per un controllo democratico della rete. Senza una reale pubblicizzazione/socializzazione di internet, e fino a quando saranno dei privati a possedere le piattaforme su cui si riuniscono miliardi di persone, gran parte del pensiero collettivo verrà sequestrato da interessi particolari, per non parlare della manipolazione delle coscienze operata da multinazionali e influencer. La scuola pubblica a mio avviso dovrebbe avere, tra i suoi compiti, anche quello di insegnare alle nuove generazioni a comprendere criticamente il linguaggio delle immagini e a frequentare con consapevolezza quegli ambienti virtuali che – purtroppo – (de)formano costantemente la personalità dei soggetti in crescita molto più della famiglia e dei luoghi tradizionali dell’istruzione. In definitiva: se è vero che la rete e la televisione sono all’antitesi di una vera democrazia partecipata, lo è altrettanto il fatto che il dibattito contemporaneo passa anche per questi canali, che vanno studiati e approfonditi in quanto modellano in maniera pervasiva (e continueranno a farlo) la costruzione di conoscenze e opinioni intorno ai temi decisivi del nostro tempo: il lavoro, la questione ecologica e climatica, i rapporti geopolitici, le nuove minacce pandemiche… E’ tempo di capire che anche l’infosfera è un bene comune e dobbiamo riappropriarcene.
Paolo Bartolini
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