Ripetere davanti ad una commissione di insegnanti nozioni e commenti imparati a memoria può dirsi verificare la maturità di un candidato? Se la risposta è si allora gli esami di stato (terza media e quinto superiore nel nostro ordinamento scolastico) sono proprio quelli che auspicate. Altrimenti non resta che rammaricarsi.
Nonostante il dibattito pedagogico vada avanti da anni, nonostante le nuove indicazioni per il primo ciclo e gli obiettivi delle competenze europee, nonostante le statistiche dicano che dalla scuola superiore i giovani escano senza saper scrivere e senza voglia di leggere, la scuola continua a spiegare e interrogare come sempre ha fatto.
La sessione degli orali è indubbiamente la più straziante in quanto appare chiara l’impostazione didattica che nel corso degli studi gli insegnanti hanno voluto imprimere agli studenti: fatti, date, formule, definizioni, commenti dell’insegnante da ricordare e ripetere. È un po’ come se all’esame per la patente di guida ci si fermasse alla teoria e non si chiedesse al candidato di guidare realmente un’automobile per decidere se è in grado di circolare in sicurezza.
Così dalle nostre scuole escono allievi che non sanno usare “in sicurezza” ciò che hanno appreso; non sono cioè abituati a riflessioni personali, ad analisi autonome, a interiorizzare e a scegliere, a far diventare le notizie pensiero, cellule delle proprie idee, della propria personalità con tutti i pericoli che ne derivano per se stessi e per la società che un giorno condurranno.
Da tempo proponiamo che gli esami siano un momento di espressione dei candidati, di quello che le cose studiate hanno prodotto come maturazione di idee e personalità. Un “esame di guida” che comprende necessariamente contenuti appresi ma che non si ferma ad esaminarli fini a se stessi, altresì cerca di capire i cambiamenti prodotti, le idee, le emozioni, i sentimenti, le scelte che essi hanno generato nella persona. Così anziché chiedere allo studente di raccontare la seconda guerra mondiale chiederemo che cosa gli ha insegnato la seconda guerra mondiale , anziché saper ripetere la seconda legge della termodinamica a quali riflessioni lo ha condotto.
L’esame potrebbe chiedere agli studenti di discutere un’esperienza scolastica interessante per comprendere come ha influenzato positivamente il loro pensiero oppure di preparare una ricerca sperimentale in cui dimostrino di saper mettere in campo più discipline, integrandole per il raggiungimento di una scoperta originale. Un tal modo di svolgere gli esami avrebbe il compito ovviamente di trascinare l’indotto didattico dell’intero percorso scolastico; diverrebbe allora indispensabile impostare il lavoro quotidiano in classe in modo laboratoriale, cooperativo, di ricerca e non più esclusivamente individualistico e mnemonico.
Ci guadagnerebbe senza dubbio la qualità della formazione culturale, la motivazione allo studio dei giovani e la gratificazione degli insegnanti che sono quelli che in fondo dagli esami escono più frustrati. Dopo anni di lezioni accontentarsi di sentire i propri studenti ripetere ciò che qualcun altro ha scritto o detto per loro, che tipo di soddisfazione può generare?
Quando invece si sente che ciò che si è speso è servito a far crescere una mente, un cuore, una persona, allora si è certi di aver fatto bene il proprio lavoro.
Ferdinando Ciani
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