Appunti per una riflessione sullo stato dei fiumi nelle Marche

Già dai primi anni del 2000 sono iniziati gli interventi sui fiumi marchigiani attraverso sistematiche operazioni di rimaneggiamento e rettificazione del greto accompagnati da abbattimento e eradicazione delle fasce alberate presenti sulle sponde con effetti devastanti sulla biodiversità e la funzionalità degli stessi.

Due report di dati misurano la situazione:

Flora, vegetazione e habitat (Chienti, 2005) –
Fauna ittica (Esino, 2020) – https://www.qdmnotizie.it/jesi-pochi-pesci-nellesino-in-che-condizioni-versa-il-fiume/

Un dato ricavato dall’informazione:

Un altro dato che potrebbe risultare significativo è quello del numero dei ponti che sono stati dichiarati non transitabili negli ultimi vent’anni del ventesimo secolo e quelli che sono risultati tali nei primi vent’anni del ventunesimo.

Un elemento normativo pone le Marche al primo posto nel processo di artificializzazione dei fiumi

(nonostante l’accettazione formale della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo)

Due leggi regionali:

  • L.R. 12 novembre 2012, n. 31 recante: “Norme in materia di gestione dei corsi d’acqua”
  • L.R. 9 luglio 2020, n. 29 che modifica la precedente introducendo i Contratti di fiume, ma non cancella lo scandalo

Lo scandalo è costituito dall’autorizzazione vergognosa che permetteva alle province di finanziare gli interventi di “risanamento” dei fiumi con la “valorizzazione” delle ghiaie e del legname recuperato durante i lavori, suggerimento che la nuova legge ora la Regione rivolge ai suoi stessi organi di governo.

Finanziamenti

L’aspetto più preoccupante della questione è proprio la continua e crescente richiesta di finanziamenti per il “Risanamento o messa in sicurezza dei fiumi”. A parte la stridente contraddizione del termine che negli ultimi anni sta ad intendere esclusivamente la rimodellazione meccanica delle ghiaie con rettificazione dell’alveo fluviale, che nulla ha di risanamento (se non delle casse delle aziende di movimento terra incaricate dell’opera), ma dei cui risultati nessuno si occupa, un aspetto inquietante è la grande quantità di denaro pubblico che viene convogliato in questo buco nero senza fine, di cui provincie e regione non danno alcun conto sulla loro incidenza nella spesa pubblica (a titolo esemplificativo la Provincia di Macerata nel 2005 ha speso 4.413.456,00 euro per il solo tratto medio-terminale del Fiume Chienti) e nessun cenno sugli eventuali, improbabili ed indimostrabili risultati attesi.

In un periodo di difficoltà economiche, di sacrifici da parte delle famiglie, di un sempre maggior numero di lavoratori che si trovano senza lavoro, questo danaro pubblico dissipato e fonte di ulteriori danni alla collettività sarebbe più che sufficiente ad essere oggetto di scandalo pubblico.

Effetti della “Cura della Ruspa”

Dagli inizi del 2000 sono iniziati gli interventi di rettificazione e di risagomatura dell’alveo sia sul fiume Chienti che sul Potenza in Provincia di Macerata. Risultati? Basta leggere le cronache degli ultimi 12 anni per vedere come siano in costante aumento, sia nella frequenza che nella gravità, gli eventi di esondazione da piena e come stiano moltiplicandosi i tratti di sponda interessati dalle esondazioni stesse.

Certi ed evidenti sono invece gli effetti negativi:

  • sulla perdita di funzionalità (depurazione fisica e biologica, rallentamento del flusso, elasticità della risposta ai cambiamenti di portata, fonte di vita e di biodiversità, ecc.) degli ecosistemi fluviali;
  • sulla cancellazione della biodiversità, sia specifica che degli ambienti;
  • sulla fragilità degli ecosistemi e sull’arrivo di specie esotiche invasive;
  • sull’aumentata esondabilità durante le piene;
  • sulla moltiplicata fragilità ed esposizione all’erosione delle sponde;
  • sulla vistosa perdita di tenuta dei ponti a livello dei tratti iniziali delle aree sottoposte ad intervento di ripulitura meccanica.
Uno dei fondamenti di intollerabile debolezza dell’approccio divenuto ormai prassi nella attuale modalità di intervento sulla gestione dei fiumi è la “miopia” dei progetti di “messa in sicurezza”

Si tratta di una miopia voluta e perseguita per poter realizzare interventi singoli e indipendenti, concordati di volta in volta con i sindaci ed i rappresentanti delle amministrazioni locali che non hanno bisogno di una visione generale, ma la semplice risoluzione di problemi localizzati e circoscritti.

Si tratta di una miopia che non tiene conto di alcune informazioni indispensabili:

  • Come l’intervento programmato si colloca e interferisce con il resto dell’intera asta fluviale
  • Quali sono i risultati degli interventi effettuati negli stessi tratti nel corso degli anni precedenti
  • Del fatto estremamente relativo derivante dall’usare, come riferimento certo, dati sulle portate storiche del fiume (fino a 200 o anche, ove disponibili, anche a 500 anni) sia di poca affidabilità tenuto conto che da 70 anni a questa parte l’intero territorio rurale (che costituisce almeno i tre quarti del bacino idrografico dei fiumi marchigiani) non è più gestito e oggetto di manutenzione riguardo al funzionamento dell’intero reticolo idrografico minore, con conseguente drammatica diminuzione dei tempi di corrivazione e delle quantità di deflusso, senza tenere in conto gli affetti del cambio climatico che rendono tutti gli eventi meteorici imprevedibili, ma assai più intensi sia nel tempo che nelle quantità di precipitazioni per unità di superficie.
Il punto di vista ambientale sulla questione “esemplare” del Misa

Nel 2016 una studentessa del Corso triennale di Scienza forestali ed ambientali dell’UNIVPM mi ha chiesto di poter dedicare il suo lavoro di tesi al Fiume Misa nel tratto della confluenza del Misa con il Nevola. Ho avuto modo di approfondire le modalità di intervento messe in atto dopo l’esondazione del 2014.

La documentazione raccolta dalla tesi ha permesso di evidenziare i risultati della manutenzione del Misa nel tratto al monte della città di Senigallia, con la cancellazione di chilometri di fascia forestale sulle sponde e il rimodellamento con rettificazione di altrettanti tratti di alveo.


Fiume Misa dal Ponte Bettolelle dopo la rettifica e l’innalzamento degli argini in terra (10/07/201

Il Sindaco Mangialardi dopo essersi assicurato i fondi ministeriali e regionali per la manutenzione del fiume Misa e assicura che vigilerà sulla realizzazione degli interventi.

Ora si passa alla parte operativa – aggiunge il sindaco – e il Comune vigilerà attentamente affinché Regione e Provincia, alle quali compete esclusivamente la realizzazione degli interventi, portino a termine i lavori entro il prossimo anno. Senigallia non sarà un’altra Genova“.

Nel frattempo, mentre sono partiti i lavori di manutenzione, pulizia e rimozione degli alberi dall’alveo del fiume appaltati dalla Provincia di Ancona, si è costituito in Regione il gruppo di lavoro interistituzionale fortemente voluto dal Comune di Senigallia per la predisposizione dell’Assetto di progetto del bacino idrografico del Misa.

Ammontano complessivamente a 8,9 milioni di euro le risorse che verranno investite da subito per la manutenzione del fiume Misa. Lo prevede l’atto integrativo dell’Accordo di programma stipulato tra la Regione Marche e il ministero dell’Ambiente per avviare una nuova serie di interventi urgenti finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico.

Nel dettaglio, 4,5 milioni saranno destinati alla realizzazione delle vasche di espansione, 2 milioni al potenziamento degli argini e altri 2,4 milioni alla manutenzione degli argini e alla riprofilatura degli alvei. “Un risultato importante per Senigallia – spiega il sindaco Maurizio Mangialardi – che premia il difficile e incessante lavoro dell’amministrazione comunale volto al reperimento delle risorse necessarie a mettere in sicurezza il fiume. Anche perché, senza finanziamenti certi, tutte le buone intenzioni restano tali. Dunque, un sincero ringraziamento al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti per l’attenzione posta alle nostre richieste e l’impegno concreto a risolvere i problemi del territorio. E un grazie, ovviamente, anche all’assessore Paola Giorgi per l’importante contributo dato dalla Regione”.

Un esempio illuminante della mancanza di razionalità negli interventi di artificializazione

A sinistra opere di tutela della sponda sul fiume Nevola nei pressi della confluenza con il Misa (febbraio 2016), a tutela dalla vicina Strada Provinciale Corinaldese; la foto a destra mostra la situazione poco tempo dopo (13/04/2016)

L’opera di contenimento dell’azione erosiva del Misa è stata realizzata abbattendo un’intera fascia boscata, posta a monte della sponda interessata dalla forte erosione, sopra la quale corre un tratto della strada Provinciale. Nella foto di sinistra l’opera di difesa ottenuta con i tronchi trasformati in cilindri posti a difesa della scarpata ed a destra la foto che illustra il risultato, dopo la prima pioggia,.

E’ evidente che le soluzioni di cura radicale affidata ad interventi di artificializzazione del Fiume Misa, non hanno dato gli effetti attesi sia nel breve che nel lungo tempo.

Occorre per correttezza precisare che tra gli interventi era prevista la realizzazione di vasche di laminazione, che avrebbero dovuto assorbire parte della massa d’acqua che ha invaso Senigallia, ma che non sono state realizzate in tempo.

E’ utile però chiarire che le vasche di laminazione, oltre ad essere insufficienti, sarebbero state molto più efficacemente e facilmente sostituite dall’attivazione di diverse aree naturali destinate ad esondazione, già presenti e distribuite lungo il tratto medio del fiume.

Cosa fare per affrontare seriamente la questione

Occorre un cambiamento radicale delle modalità di gestione del territorio che coinvolge sia le aree rurali che quelle urbanizzate, partendo dal presupposto che occorre ridurre le emissioni ci CO2 e fare in modo che tutto il territorio sia predisposto ad assorbire l’acqua piovana e sia elasticamente preparato agli eventi meteorologici improvvisi e imponenti che solo un sistema di corsi d’acqua ad elevata capacità di adattamento alle situazioni estreme può garantire, cioè un sistema idrografico ad elevato livello di naturalità.

Il fiume non è un canale!

Un fiume, banalmente, non è un semplice canale in cui scorre un certo volume d’acqua ad una certa velocità e dove eventuali portate maggiori possono essere facilmente contenute alzando gli argini, per evitare la loro tracimazione.

Il fiume è un agente di trasformazione geomorfologica della superficie terrestre. È un sistema complesso che reagisce dinamicamente ad una serie di fattori ( geologici, climatici, biologici, eustatici…) governato dalla quantità di energia contenuta nelle sue acque correnti. Se i fattori non mutassero nel tempo, il gioco tra sedimentazione ed erosione condurrebbe ad una sorta di bilanciamento graficamente evidenziato dalla curva di equilibrio del corso d’acqua, estesa tra la sorgente e la foce. Ogni perturbazione di qualsiasi dei fattori che agiscono sulla dinamica fluviale, produrrà mutamenti e aggiustamenti in tutta l’asta fluviale. Se le variazioni dell’equilibrio del fiume comporterà la distruzione delle opere dell’uomo la colpa va individuata nell’insipienza umana, della sua scarsa conoscenza della natura e dalla superbia tecnica che gli fa immaginare di poter sottrarre al fiume i suoi domini, imbrigliandolo con i suoi manufatti.

Un esempio tra i tanti possibili. Se asportassimo i sedimenti mobili dell’alveo, il fiume vedrebbe aumentare la sua energia netta e quindi il suo potere erosivo. Questo lo condurrebbe ad accentuare l’erosione laterale, a discapito dei terrazzi alluvionali (con distruzione, nelle nostre zone dei campi coltivati) oppure l’erosione di fondo che lo porterebbe a scalzare le fondamenta dei ponti facendoli crollare. Se per impedire l’erosione laterale costruissimo degli argini artificiali, ad esempio con barriere lineari e muri, il fiume aumenterebbe l’erosione di fondo. Se volessimo bloccare quest’ultima con delle briglie trasversali al corso d’acqua, queste intrappolerebbero i sedimenti, che non raggiungendo il mare alla foce farebbero aumentare l’erosione costiera. E via di seguito. Tutto ciò comporterebbe il paradosso che più soldi si spende per imbrigliare il fiume e più se ne dovrà spendere in futuro per compensare i danni da noi indotti.

Tutto ciò rende indispensabile cambiare lo sguardo con cui affrontiamo i potenziali dissesti indotti da processi naturali, spostando l’azione dal processo in sé al riequilibrio integrato del territorio, sia nella dimensione naturale che in quella antropica, tra loro fortemente integrate. Ciò comporta che spesso sarebbe più utile e anche economicamente conveniente smantellare le opere a rischio, piuttosto che cercare di ingabbiare il processo naturale.

Occorre fare in modo che i fiumi abbiano un decorso il più possibile naturale che permetta alle piene (sulla cui consistenza abbiamo l’unica certezza che saranno sempre più imprevedibili) di fuoriuscire dalle sponde all’altezza delle aree esondabili (dove non deve essere permessa alcuna urbanizzazione ed eventualmente dislocate quelle nel frattempo autorizzate), scaricando la forza distruttiva delle acque senza danneggiare abitazioni e attività produttive.

Una sintesi dei cambiamenti necessari:
  • La progettazione degli interventi di manutenzione e di gestione deve riguardare l’intero bacino idrografico, oltre che l’intera asta fluviale;
  • E ’indispensabile individuare un sufficiente numero di aree esondabili (prive di urbanizzazione o con pochi edifici delocalizzabili), cioè i tratti di fiume dove il corso d’acqua in caso di piena può facilmente esondare in modo naturale, distribuiti lungo tutto il suo percorso.
  • Nelle zone esondabili esposte al pericolo di allagamento vietare ogni nuova attività edificatoria e prevedere la delocalizzazione degli edifici già presenti; occorre per questouna normativa che disincentivi gli investimenti edilizi e responsabilizzi i sindaci che concedono l’autorizzazione a costruire nelle aree individuate dal PAI come zone a rischio idrogeologico:
  • Negli ambiti di espansione naturale, che consentono una dilatazione momentanea del fiume, dobbiamo proteggere i terreni con adeguate fasce di foresta fluviale, attraverso interventi di rimboschimento naturale, laddove questa fascia è assente o troppo esigua;
  • Nelle aree esondabili dove si pratica oggi agricoltura intensiva, si deve prevedere un obbligo di coltivazione di prati stabili (medicai e prati polifitici) o pioppicoltura per produzione di biomassa, accompagnati da una adeguata compensazione dei mancati introiti;
  • Gli interventi di ricostruzione di tratti di sponda in erosione vanno limitati esclusivamente al punto interessato con interventi di ingegneria naturalistica;
  • Evitare accuratamente l’alterazione della morfologia e della vegetazione della sponda, soprattutto laddove interessata da vegetazione arborea e forestale, come pure il rimaneggiamento della morfologia del greto.

I fiumi delle Marche rappresentano i pochi centri di biodiversità della rete ecologica regionale pressoché scomparsa dall’intera fascia collinare, di fondovalle e costiera. E’ nostro dovere salvaguardare la loro ricchezza per i notevoli benefici che può riservare alla nostra qualità di vita e per quella delle prossime generazioni.

DOCUMENTAZIONE DI RIFERIMENTO
  • Direttiva Acque 2000/60 CE
  • P.A.I. – Piano Assetto Idrogeologico della Regione Marche
  • L.R. n° 31 del 12 novembre 2012
  • P.D.L. n° 381 del 9 dicembre 2013
  • L.R. n° 29 del 9 luglio 2020
ALLEGATI

Fabio Taffetani

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