Abbiamo bisogno di pilastri sui quali fondare politiche di integrazione stabili

I recenti avvenimenti legati all’invasione russa dell’Ucraina hanno scatenato una grande risposta nella popolazione italiana di solidarietà ed empatia, mettendo a disposizione risorse materiali ed immateriali per predisporre l’accoglienza dei cittadini ucraini in fuga.

Il flusso di persone arrivate nelle principali città italiane e non solo, il sistema informale della solidarietà che si è creato per realizzare molte azioni differenti, dalla raccolta fondi fino all’organizzazione di viaggi per la consegna di materiale e per l’evacuazione di cittadini dalla Moldavia e dalla Polonia ormai satura di accoglienze, ci spingono però ad una riflessione che riguarda “il dopo”.

L’arrivo di persone spaventate, traumatizzate da una fuga e da un conflitto e da mesi che lo hanno preceduto di tensione, rappresentato nella sua totalità da madri, bambini accompagnati e non ed anziani, necessita di una risposta immediata e professionale specialmente per quello che riguarda la gestione delle presenze delle persone sul territorio e delle prime necessità legate all’accoglienza, sanità e scuola.

Così la prima domanda di chi accoglie non solo in questa occasione, trovandosi di fronte persone di altre nazionalità e provenienze presenti sul territorio e ha bisogno di raccogliere e di fornire informazione a gruppi di stranieri, diventa cruciale: servono persone che parlino la loro lingua.

Ma non solo.

Nell’esperienza di chi si occupa però di integrazione sociale, di accoglienza e di comunicazione interculturale però il requisito della lingua non è il solo sufficiente: è necessario impiegare figure professionali che all’interno della società di accoglienza possano giocare un ruolo decisivo, si tratta delle figure dei mediatori linguistici e culturali.

I mediatori linguistici e culturali sono figure presenti ed impiegate in molti settori dal sanitario al socio educativo passando per la scuola, all’interno dei servizi sociali, nell’ambito dell’accoglienza di persone richiedenti asilo e protezione internazionale, in ambito giuridico e legale i quali possono in maniera cruciale ed in sinergia con gli operatori dedicati a settori specifici dell’integrazione ed accoglienza, intervenire in maniera significativa e fruttuosa nei percorsi individuali di stranieri per la comprensione del contesto sociale del paese di accoglienza ed il compimento di scelte finalizzate ad una piena integrazione sul territorio.

Si tratta di persone con competenza nella lingua italiana, che vivono stabilmente in Italia e ne conoscono contesto sociale ed istituzioni ma al contempo conoscono profondamente, perché vi sono vissuti e ne conoscono la lingua del paese di provenienza e per questo possono essere ponti di integrazione, realizzando un fondamentale lavoro di decodifica e passaggio di informazioni tra contesti culturali a volte completamente differenti e lontani.

Sebbene la qualifica di mediatore sia ben definita all’interno della classificazione delle professioni ISTAT e nell’atlante del lavoro INAPP, non esiste un riconoscimento professionale pieno dal punto di vista della legislazione italiana della professione mediante una legislazione organica, dato che i riferimenti normativi si trovano sparsi nella normativa in materia di immigrazione e in alcune norme di settore.

Ciononostante sul territorio italiano esistono possibilità formative di livello superiore specifiche all’interno di università del territorio che propongono una formazione specifica (Università di Camerino e Macerata).

La competenza regionale di normare specificamente la figura del mediatore linguistico e culturale è di tipo concorrente rispetto all’ambito nazionale, quindi in parte inoltre attribuita alle regioni italiane e nel caso della nostra, le Marche, esiste un documento che ben definisce il ruolo del mediatore linguistico e culturale, raccoglie molti riferimenti normativi che ne richiamano la figura, ed elenca le sue qualifiche come supporto imprescindibile per la popolazione migrante sul territorio oltre a definire i possibili contenuti di un percorso formativo.

A fronte di tale dettaglio nella descrizione dei requisiti professionali della figura del mediatore linguistico, non esistono albi professionali organici a livello nazionale e solo 5 sono le regioni italiane e non tutte sono ugualmente sottoposte alle stesse pressioni migratorie ( Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Puglia e Valle d’Aosta) che hanno istituito un albo professionale per censire i mediatori culturali sul proprio territorio per l’impiego nel settore scolastico, sociale, lavorativo e legale.

Pertanto vi è una ampia zona grigia che non garantisce una efficace e competente azione di informazione e passaggio di informazioni tra la popolazione migrante sui territori regionali, non facilitando il lavoro di coloro che all’interno dei servizi e della scuola si trovano a fronteggiarne le problematiche legate all’integrazione creando inutili ed evitabili tensioni sociali, malintesi e false percezioni e pregiudizi per gli stranieri che abitano nel nostro paese e per l’intera comunità.

Inoltre a fronte di poche realtà regionali che offrono servizi di mediazione linguistica e culturale soprattutto in ambito sanitario e dell’accoglienza di richiedenti protezione internazionale, non sono presenti fondi stanziati dalle istituzioni pubbliche al di fuori della rete SAI e delle istituzioni sanitarie e carcerarie che permettano un impiego  strutturato e costante di queste figure nell’ampio ventaglio di settori che ne avrebbero bisogno ( scuola, inserimento abitativo, inserimento lavorativo, etc..).

La scuola ad esempio è un ambito fondamentale assieme al settore sanitario, di presenza ed impiego dei mediatori, perché rappresenta uno spazio di conoscenza reciproca tra alunni, insegnanti e famiglie di provenienze differenti, di reciproco apprendimento, all’ accettazione transculturale e di integrazione rivolta alle famiglie degli alunni inseriti e di prima individuazione di situazioni di fragilità che successivamente possano essere prese in carico da autorità competenti.

Si tratta inoltre di un momento importante di crescita ed arricchimento della comunità educante tutta mediante la realizzazione di laboratori interculturali, valorizzazione della diversità linguistica, del plurilinguisimo e della lingua madre.

Qualcuno diceva che la scuola è vita: quale momento migliore per imparare a vivere insieme disponendosi all’accettazione ed alla conoscenza reciproca, se non quello di creare un contesto accogliente a partire dalla scuola con bambini e ragazzi?

Anche noi, gli adulti, potremmo trarne enorme giovamento ed accidentalmente ritrovarci inconsapevolmente artefici di una società migliore come stiamo provando a fare in questi giorni in occasione di questa brutta e dolorosa guerra.

Eva Veroli

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