Ripartire dalla scuola. È un tentativo indispensabile e fecondo nell’azione per risollevare la società globalizzata, la cui retorica ufficiale la presenta come digitale, competitiva, sostenibile, inclusiva, innovativa, dedita a crescere sempre, mentre in realtà è solo una macchina impazzita che causa un vortice di tendenze distruttive. In una situazione così complessa non esiste un’unica leva da azionare per liberarci da questa trappola. Tutti i percorsi veramente trasformativi (sociali, educativi, politici, economici, spirituali, culturali) devono procedere rafforzandosi a vicenda. Ma dal punto di vista del tipo di soggetti che popolano la società attuale, il fallimento della scuola finora è evidente. Il ruolo della famiglia è primario e spesso viene meno, ma l’esperienza scolastica può ancora dare un’occasione di recupero e riscatto per la formazione della personalità. A patto che la scuola sia rigenerata.
C’è una maggioranza di individui non formati che finiscono per ridursi a docili pedine del sistema, o per dare luogo a comportamenti regressivi. Ciò spiega il ricorrente fenomeno per cui le classi subalterne sostengono poteri dittatoriali. Quando un individuo deprivato sul piano educativo diventa adulto, poi è tardi per aiutarlo a elevarsi per vivere con responsabilità la cittadinanza democratica.
Bisogna immedesimarsi nel vissuto delle nuove generazioni. Ora sperimentano il vuoto di senso, di futuro, di umanizzazione, di una democrazia che li veda protagonisti. È come un gorgo che risucchia le energie migliori e produce un malessere spesso non riconosciuto. Educare significa liberare chi sta crescendo da questo vuoto magnetico e disgregatore. Si tratta di insegnare ai più piccoli ad affrontarlo superando la sofferenza che comporta.
Agire per tempo, coltivando sia l’umanità delle persone che la loro capacità di stare al mondo con coscienza etica e civile, implica anzitutto di vedere i giovani. Le nuove generazioni non sono viste dalle istituzioni e dalla mentalità degli adulti. “Viste” significa ascoltate, sentite, accolte, accompagnate, nutrite eticamente e civilmente, ispirate ad assumere la vita come un dono che richiede la loro libertà, creatività, felicità.
Il punto di svolta sta nella scelta di non pensare più la scuola secondo il mercato, concependola invece secondo la dignità umana, il bene comune, il diritto all’educazione delle nuove generazioni. Penso alla scuola in quanto comunità aperta, dialogica, democratica, capace di praticare il cosmopolitismo dal basso nell’incontro tra le diverse culture e storie di vita. È una scuola che si nutre delle esperienze di socialità e di ricerca nel territorio dove è presente e nel mondo. Penso anche a una scuola dell’esperienza e della ricerca, dove studentesse, studenti e docenti possano inoltrarsi verso le frontiere avanzate dei saperi, coltivati come percorsi transdisciplinari di partecipazione alla realtà nei suoi molteplici gradi di profondità.
Rigenerare la scuola è un imperativo categorico, una priorità decisiva. Il fatto che i giovani siano abbandonati a sé stessi, manganellati nelle manifestazioni o mandati a morire negli stages dell’alternanza scuola-lavoro è il segno di quanto le scelte politiche che li riguardano debbano essere non semplicemente riformate, ma radicalmente mutate. Del compito di arrivare a questa svolta devono farsi carico le famiglie più attente, gli insegnanti fedeli alla vocazione educativa, le forze politiche democratiche, i pochi sindacati disposti a battersi per questa meta e quegli organi di informazione e soggetti culturali che accettano di narrare la condizione dei giovani sostenendo la loro capacità di futuro. Un passaggio essenziale, oggi in Italia, è sventare il progetto dell’autonomia differenziata, che polverizza il sistema scolastico. Serve una forte alleanza tra giovani, famiglie e docenti. Ci sono già coordinamenti di insegnanti che lavorano per questo, occorre sostenerli per portare la nuova scuola al centro dell’agenda politica.
Roberto Mancini