La formazione secondo Aprea

Ha colto un po’ tutti di sorpresa l’introduzione, nel nuovo decreto legge 9 agosto 2022, n. 115 “Aiuti-bis”, dell’articolo 38 inerente la formazione dei cosiddetti “insegnanti esperti”. L’accoglienza di tale proposta, caldeggiata da Forza Italia soprattutto per voce dell’On. Valentina Aprea, sa tanto di scambio politico: lasciar passare un tassello del progetto di una scuola meritocratica in cambio del sostegno all’impianto generale del decreto stesso. L’On. Aprea non è nuova a visioni revisioniste sulla scuola come quando propose di riscrivere e ridimensionare gli organi Collegiali e la presenza delle RSU nelle scuole. Purtroppo tali visioni sono appoggiate ad una certa ideologia liberista che vedrebbe volentieri anche la regionalizzazione dell’istruzione.

Venendo ai fatti, ciò che in sede di Consiglio di Ministri è stato approvato è l’introduzione di una formazione ristretta a poche migliaia di insegnanti (forse uno per istituto a riforma completata), di durata triennale da ripetersi tre volte (quindi nove anni), superata la quale questi potranno accedere al titolo di “insegnante esperto”, con una remunerazione aggiuntiva annua di oltre 5.000 euro.

Un’idea che in pochi giorni (nonostante l’Agosto corrente) ha visto il sollevamento del mondo della scuola, di chi la conosce da dentro ed è ormai ipersensibile alle manovre scellerate che i vari governi abitudinariamente effettuano su di essa. Non può sfuggire infatti la prossimità delle elezioni politiche ed il presumibile scopo mediatico nel propinare al grande pubblico facili e fasulle soluzioni propagandistiche. Vediamo dunque:

  1. Il tempo per l’attuazione di tale riforma è pianificato in dieci anni, un tempo comunque assurdo considerando le urgenze della scuola.
  2. Una formazione diretta a pochissimi insegnanti (tra 9 anni si avrà circa 1 docente esperto su 100) che non ha quindi possibilità alcuna di incidere significativamente sulla qualità dell’azione educativa scolastica .
  3. Il chiaro scopo di generare attraverso l’incentivo offerto a pochi un effetto domino sugli altri appare insensato e offensivo nei confronti del corpo insegnante che, sottopagato, già rattoppa “ a mani nude” le falle di una scuola abbandonata dalla politica e necessita di ben altro modo di formarsi.
  4. La formazione non darà titolo per ricoprire incarichi di responsabilità nell’istituto di appartenenza. Non servirà dunque che a creare conflitti tra insegnanti e con i genitori, questi ultimi solleticati a scegliere per i propri figli le classi in cui operano i “docenti esperti”.
  5. La formazione del “docente esperto” è dunque una formazione in solitudine, il contrario esatto della formazione cooperativa, dello scambio di esperienze, di metodologie, di ricerca tra insegnanti, ciò di cui ha veramente bisogno la scuola se vuole insegnare a sua volta agli studenti la ricerca e il lavoro cooperativo.
  6. Si spenderebbero ingenti quantità di fondi pubblici che andrebbero ad agenzie private specializzate in formazione, su temi che servirebbero presumibilmente la burocrazia e la gestione, quindi utili principalmente ai dirigenti (compilazioni registri e valutazioni, sicurezza, digitalizzazione…), come avviene ormai da tempo, anziché riversarsi sulla qualità educativo-didattica necessaria agli allievi.

La formazione degli insegnanti è una delle priorità per la scuola ma occorre partire da presupposti ben diversi: dalla ricerca-azione, dal confronto con le esperienze pedagogiche e didattiche innovative, dalla possibilità di condurre sperimentazioni sostenute dalle Università.

Attendiamo con speranza un passo indietro nell’esame parlamentare del testo ma è necessario, anche più, fare passi avanti nella soluzione dei tanti problemi che attanagliano la scuola da troppo tempo, con saggezza pedagogica e onestà politica, con la testa ed il cuore rivolti al futuro dei nostri giovani e della società.

Ferdinando Maria Ciani

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