Quello che dobbiamo “ricostruire” (oltre ai paesi) è il modo di pensare la montagna

La politica nei confronti della montagna è stata quella di uno sfruttamento coloniale di una popolazione emarginata e di un territorio a servizio delle aree produttive di fondovalle (e nulla ad oggi è cambiato)

Pensavamo che gli eventi tellurici che hanno interessato recentemente l’Appennino centrale, pur avendo messo in evidenza la gravità della condizione di chi vive in montagna (esodo, emarginazione economica, marginalità sociale e strutturale, disinteresse della politica, depredazione delle risorse), non avrebbero cambiato il cronico stato di abbandono della montagna.

Invece ci stavamo sbagliando, perché i rappresentanti politici illuminati di ogni schieramento, visto l’arrivo di importanti risorse economiche, sono diventati estremamente attivi e generosi sia in fatto di idee che di progetti di finanziamento.

ERRORI

Completamente priva di fondamento è la generica e superficiale, ma troppo spesso abusata, affermazione che i problemi di fragilità idrogeologica della regione siano dovuti all’abbandono delle attività agricole. Occorre chiarire che l’abbandono delle attività tradizionali agricole, forestali e zootecniche riguarda pressoché esclusivamente le aree montane, dove effettivamente determina una grave perdita della biodiversità e crea problemi di stabilità spesso vistosi, seppure localizzati intorno alle aree urbanizzate, dove la mancanza di manutenzione può provocare danni gravi e immediatamente percepiti. Tuttavia occorre chiarire che i problemi di franosità delle aree montane sono marginali (dal punto di vista dell’intensità, della gravità e della capillarità) se confrontati con quelli (tanto devastanti quanto usuali da non fare più notizia) che si verificano nelle aree collinari, ma questi sono evidentemente determinati (non solo, ma in massima parte) dalle modalità dello sfruttamento agricolo intensivo (e non sono certo effetto di fenomeni di abbandono, semmai di eccesso e miope artificializzazione degli ambienti rurali).

MANCANZE

Insieme agli aspetti socio-economici e culturali, che hanno determinato l’attuale situazione, manca inoltre qualsiasi riflessione sulle politiche di sfruttamento irrazionale delle aree interne fin qui perseguite.

Si tratta di aspetti assai diversi che investono tutti settori socio-economici delle aree interne e che per grandi linee possono essere così semplificati:

  • predazione capillare delle risorse idriche senza alcuna valutazione delle conseguenze ambientali e attenzione verso le esigenze delle popolazioni residenti;
  • progetti di stampo coloniale per la localizzazione degli impianti eolici nelle aree montane;
  • sviluppo e sostegno di improbabili attività turistiche invernali (in continua espansione, nonostante anche nelle, neppure lontanamente confrontabili, stazioni sciistiche alpine si guardi criticamente ai danni ambientali fino ad oggi trascurati, molte delle quali non più remunerative e in barba al cambiamento climatico in atto!) con pesante alterazione (con perdita di opportunità irreversibili per il futuro) di aree montane di grande interesse naturalistico;
  • piano regionale delle attività estrattive a completo vantaggio di pochi imprenditori e a scapito di tutti i cittadini marchigiani (vedi la motivazione tra gli esempi riportati più avanti);
  • continua richiesta di materiale lapideo per la creazione di scogliere a protezione della costa ad esclusivo sostegno dell’attività turistica balneare, ma a carico delle zone estrattive dei rilievi montani (questo è uno dei pochi settori che si è mantenuto attivo, anche se i proventi sono di pochi, i posti di lavoro sono modesti nel numero e nella qualificazione, mentre i danni alle opportunità economiche e all’immagine delle nostre montagne sono assai pesanti);
  • mancato sostegno della zootecnia fuori stalla e alle tradizioni legate agli usi civici;
  • ostacolo alla selvicoltura, attraverso una normativa che ha disincentivato l’utilizzazione sostenibile del patrimonio forestale;
  • scarsa attenzione ai problemi specifici dell’agricoltura e del turismo montani.
OMISSIONI

Nella politica regionale attuale e recente (degli ultimi 70 anni) le zone montane sono escluse da ogni interesse propositivo, da ogni programma, da ogni previsione di intervento, a meno che non ci sia l’interesse di installare un impianto eolico, avviare una captazione di sorgenti profonde, completare una importante collegamento stradale di attraversamento montano o realizzare una struttura artificiale per il turismo invernale ad imitazione di quello alpino. Dai politici regionali, dagli amministratori locali e dai tecnici di settore non c’è nessun accenno alla ricchezza culturale e alla biodiversità ambientale, alle normative già da tempo in vigore (innovazioni della nuova PAC 2014-2020; priorità e accesso all’attivazione di fondi per la gestione delle aree agricole della Rete Natura 2000) che si sarebbero debbono attuare a vantaggio delle aree economicamente marginali e discriminate dal punto di vista sociale.

UN ESEMPIO ECLATANTE REALIZZATO CON CINICA DETERMINAZIONE

Nuovi impianti di risalita del Monte Catria

Il turismo invernale, in particolare lo sci di discesa, si è diffuso in Italia a partire dagli anni 70’ (Ancona et al. 2007), periodo in cui è registrata una grande espansione di tutto il settore sull’arco alpino. Visto il grande successo, negli anni successivi si è cercato di riproporre la stessa strategia di sviluppo anche sugli Appennini. Geomorfologicamente l’Appennino, non ha la complessità del sistema montuoso alpino, dal punto di vista altimetrico solo in pochi casi si avvicina alle quote delle Alpi, mentre dal punto di vista climatico si trova a latitudini inferiori (minori precipitazioni nevose). Per questi motivi gli impianti turistici appenninici attirano turisti da un bacino di utenza limitato agli utenti locali. Inoltre gli impianti costruiti sugli Appennini rispetto a quelli alpini tendono ad essere più modesti per dimensioni, lunghezza delle piste, portata.

Dagli anni ‘90, il turismo invernale è entrato in un periodo di contrazione, sia per motivi economici, in quanto è un prodotto ormai maturo, sia climatici, legati al riscaldamento globale, che ha portato ad un innalzamento delle temperature con conseguente riduzione della stagione nevosa. Questi eventi hanno messo in crisi l’intero settore del turismo invernale, portando alla chiusura di numerosi impianti soprattutto sull’Appennino. Tale crisi ha portato alla chiusura di numerosi impianti, specialmente sull’Appennino per via delle altitudini più modeste e delle temperature medie più alte rispetto a quelle dell’arco alpino.

La stazione sciistica del Monte Catria è una delle più giovani stazioni delle Marche ed è stata abbandonata per oltre più di vent’anni, per essere poi riaperta solo il 24 Gennaio del 2009. Fino all’inizio dei lavori del nuovo impianto la struttura del M. Catria presentava una bidonvia che partiva da 560 m s.l.m. che portava fino a 1320 m s.l.m. dove erano presenti 2 skilift consecutivi che conducevano gli sciatori fino alla quota di 1510 m s.l.m.

Fig. 1 – Arrivo superiore degli impianti di risalita del Monte Catria (è anche l’area destinata ad ospitare l’invaso per la neve artificiale e quella dove sostano, in estate, gli animali al pascolo). (Foto da drone)

Il Progetto in fase di realizzazione prevede un insieme di opere di potenziamento del comprensorio sciistico: nuovo impianto di risalita attrezzato per il trasporto di mountain bike, sostituzione e riposizionamento della seggiovia a fune alta (skilift), interventi di miglioramento e messa in sicurezza delle piste, nuovo sistema per innevamento artificiale e nuovo impianto di illuminazione delle piste. Quest’ultimo costituisce l’unica parte del progetto che non è stata considerata positivamente dalla valutazione di incidenza (processo obbligatorio per tutte le modifiche che interessano le aree delimitate all’interno della Rete Natura 2000).

L’area interessata dai lavori di ampliamento delle poche piste esistenti e la creazione di nuove piste riguarda la stazione sciistica situata in località Piano di Monte Acuto ovvero lungo il versante est del Monte Acuto ad una quota compresa tra i 1250 e 1550 m s.l.m., nel comune di Frontone (PU), ricade all’interno della Zona di Protezione Speciale (ZPS) I IT5310031 “Monte Catria, Monte Acuto e Monte della Strega” e del Sito di Interesse Comunitario (SIC) IT5310019 “Monte Catria, Monte Acuto”.

Fig. 2 – Parte sommitale degli impianti del Monte Acuto, in primo piano una delle zone interessate dai lavori per i nuovi impianti di risalita. (Foto da drone)

Si tratta del Progetto dell’ampliamento di un impianto situato in prossimità del Monte Acuto nel comune di Frontone (PU), finanziato da fondi della Regione Marche, che interessa aree appartenenti alla Rete Natura 2000, in corrispondenza di habitat prioritari (Faggete 9210* e Praterie 6210*).

Per stimare l’impatto ambientale dei lavori, che sono già in fase avanzata, sono state ricostruite tutte la fasi della Valutazione di Incidenza attraverso le quali sono state concesse le autorizzazioni ai lavori in maniera inadeguata e soprattutto non sono state rispettate le prescrizioni che questa aveva richiesto.

Problematiche di conservazione sottostimate

  • Nelle operazioni di risemina non viene specificata la provenienza geografica e il fornitore della semente, né le modalità e le tecniche di esecuzione;
  • non vengono considerati i tempi necessari al suolo nudo di ristabilire completamente la copertura vegetale, che entrano in conflitto con i tempi di realizzazione del progetto;
  • non viene fatto riferimento ai danni provocati dal movimento dei mezzi e macchine operatrici per l’esecuzione degli scavi.
  • Il pericolo di perdita di stabilità di ampie superfici interessate dal progetto, tenendo conto che gran parte dei lavori vengono effettuati in tempi forzatamente brevi, su superfici estese, in forte pendenza e su lunghi tratti (circa 11 km di piste e nuovo impianto di risalita lungo 1600 m) e dove le lavorazioni del terreno prevedono l’eradicazione degli alberi, mettono completamente a nudo il terreno e vengono eseguite su versanti ad elevata inclinazione che vengono esposti a rapida erosione e fenomeni di smottamento.
  • L’Alterazione dell’habitat prioritario 9210* dovuta all’eradicazione e all’apertura del bosco.
Fig. 3 – Area posta all’arrivo degli impianti di risalita del Catria dove sono iniziati  (autunno 2017) i lavori considerati a minore impatto: la foto mostra la delicatezza dei lavori effettuati (tuttavia ancora incompleti)!

Problematiche di conservazione non prese in considerazione:

  • la realizzazione di un bacino idrografico per la raccolta delle acque necessarie al sistema di innevamento programmato. Confrontando il progetto delle operazioni di potenziamento della struttura con i dati raccolti dall’analisi floristica e vegetazionale è emerso che le lavorazioni interessano una prateria dell’associazione di Campanulo glomeratae-Cynosuretum (Biondi et al. 1989), che seppur non rientri tra gli habitat prioritari, risulta essere la più produttiva delle praterie locali in ambito zootecnico. Trattandosi di una prateria poco estesa, gli scavi necessari alla realizzazione del bacino comporterebbero inevitabilmente la sua sparizione, causando a sua volta un aumento del carico di pascolo sulle praterie xeriche limitrofe di Bromus erectus (6210*). Ciò impatterebbe negativamente sull’attività zootecnica, riducendo la superficie di pascolamento attraverso l’eliminazione di un’area altamente produttiva, scoraggiando in questo modo l’utilizzazione dell’area, senza la quale la conservazione dell’habitat prioritario verrebbe messo in discussione.
Fig. 4 – Area di prateria pianeggiante estremamente produttiva che costituisce la zona di pascolo tra le più importanti per l’allevamento della zona (la tipica “potatura” dei faggi posti al margine ne costituisce la miglior conferma). Si tratta della stessa zona di arrivo degli impianti della Fig. 1 (quella destinata ad ospitare l’invaso per la neve artificiale e quella dove sostano, in estate, gli animali al pascolo)
  • Non vengono valutate le conseguenze del taglio del bosco in un habitat prioritario (9210*) per la realizzazione della nuova seggiovia “Travarco-Monte Acuto”, che comportano l’esposizione di una fascia di terreno per oltre un chilometro e mezzo, disposta lungo la massima pendenza ed esposta a fenomeni erosivi e smottamenti in seguito al taglio e sradicazione delle piante. Si tratta di interventi non giustificati da motivi di necessità che non prevedono benefici ambientali, ma anzi preludono a impatti ben più pesanti dovuti alla realizzazione degli scavi necessari per i numerosi collegamenti a terra degli impianti di risalita e di quelli di innevamento artificiale.
  • Tra le conseguenze non considerate ci sono inoltre i danni derivanti dall’allargamento delle piste i quali determinano la perdita di habitat ecotonali molto delicati e dove si concentra una elevata biodiversità, del tutto misconosciuta anche agli operatori del settore. I risultati di tale ignoranza si sono già verificati proprio nei precedenti allargamenti delle piste del Catria che hanno interessato alcuni tratti di orli forestali, che ospitano piante ad alta specializzazione tra le quali la rara felce, Gymnocapium dryopteris, che sui margini delle piste del Monte Acuto trova l’unica stazione marchigiana. Sul Monte Catria nel passato erano stati accertati due diversi siti di questa pianta. La prima segnalazione, del 1979, era relativa a “vecchie ceppaie” nella faggeta delle Cupaie (Brilli-Cattarini, Ballelli, 1979). Questa località di rinvenimento non ha avuto conferme nelle ricerche successive. L’altro sito di Cupa delle Cotaline, accertato nell’estate del 2008 (Barbadoro, 2009-2018), è stato sbancato dai lavori di ampliamento degli impianti sciistici del Catria realizzati in quel periodo. La piccola popolazione che vi cresceva è quindi stata distrutta totalmente. Nella stessa faggeta, al momento, ricerche successive hanno dato esito negativo.
Fig.  5 – Il popolamento di Gymnocarpium dryopteris al margine della faggeta
Fig. 6 – Gli ultimi resti del sito di Gymnocarpium dryopteris a Cupa delle Cotaline (luglio 2008)

Problematiche turistiche, ambientali e socio-economiche

Anche partendo dalle tematiche più strettamente turistiche il progetto di ampliamento delle piste del Catria non ha alcun senso: il problema dello sviluppo del turismo appenninico sta nella mancanza di una rete servizi e di ricezione turistica capillarizzata.

Occorre che le possibilità di pernottamento, soprattutto presso i nuclei abitati ancora vitali diventino abbondanti e con diversità di soluzioni sia qualitative (sobrie o di elevato confort, economiche o di fascia alta) che dal punto di vita delle ricettività. Meno della metà dei fondi elargiti dalla Regione Marche (3,5 milioni di euro) per gli impianti del Catria sarebbero stati sufficienti per garantire il restauro diverse decine di rifugi e case rurali di famiglie locali. Incentivi che avrebbero dato impulso a famiglie e giovani a rimanere nei piccoli nuclei, come quelli che costituiscono il comune di Frontone (e quelli vicini che condividono il territorio montuoso del Catria) e le sue diverse frazioni, permettendo ai giovani di dare inizio ad iniziative collegate a quelle attività turistiche che stanno riprendendo vita, nonostante il lento e inesorabile esodo verso la costa).

LO SCI INVERNALE È UNA CHIMERA PERICOLOSA PER TUTTO L’APPENNINO

Le aree interessate dai lavori manterranno i segni delle operazioni di scavo per vari decenni, in diversi casi (sopra ricordati) per sempre. Alterazioni inferte senza alcuna attenzione alla condizione di delicato equilibrio dell’area, senza tenere in debito conto la quota e la conseguente ridotta capacità di recupero dei cicli biologici naturali che caratterizza le porzioni sommitali del rilievi appenninici e senza considerare la gravità della perdita del prezioso accumulo di maturità raggiunto dagli strati di suolo prodotti dalla vegetazione forestale e dalle praterie nei pressi della sommità del Monte Acuto, all’interno di un’area protetta dalla Rete Natura 2000 (Dir. 92/43/CEE), che fornisce gli strumenti per gestire in forma conservativa la biodiversità dei territori di maggior interesse naturalistico d’Europa.

Indipendentemente dalle responsabilità che emergeranno e che verranno eventualmente riconosciute dal procedimento giudiziario in corso, occorre evidenziare che i lavori effettuati hanno prodotto danni ambientali e paesaggistici che rimarranno visibili e non potranno essere mitigati, non solo visivamente, ma neppure concretamente per vari decenni. Queste condizioni di evidente alterazione e di difficile, in alcuni casi impossibile, recupero ambientale renderanno l’area non più attrattiva per le attività turistico-escursionistiche che costituiscono le principali iniziative che possono garantire (anche nel prossimo futuro) l’interesse turistico e che hanno il prezioso pregio di essere distribuite in tutto l’arco temporale dell’anno. Mentre restano notevoli perplessità sulle reali possibilità di sfruttamento degli impianti durante i mesi invernali, già oggi estremamente discontinue, ma in una indiscutibile tendenza a ridursi significativamente nei prossimi anni a causa dell’ormai evidente accelerazione dei cambiamenti climatici in atto. Cambiamenti che si stanno misurando in fenomeni atmosferici sempre più brevi ed intensi e con un preoccupante innalzamento delle temperature medie. Innalzamento delle temperature che determina un conseguente abbassamento dei limiti altitudinali che sconsiglia ll’apertura e/o la persistenza di impianti di sci alpino sia sull’arco Alpino (ormai assodata al di sotto dei 2000 metri) che, soprattutto, lungo tutti i rilievi dell’Appennino.

Seguono articoli che affrontano il problema da parte di diverse riviste nazionali.

Inverni senza neve. Il riscaldamento globale mette in crisi l’economia delle Alpi (National Geographic, marzo 2022)

Nelle catene montuose di tutto il mondo si registra una diminuzione delle precipitazioni nevose, particolarmente rilevante in alcune regioni. I livelli di neve e ghiaccio, essenziali per gli ecosistemi e le economie, incidono sul turismo, sulla produzione di energia idroelettrica e sulle risorse idriche.

In ogni parte delle Alpi, in particolare al di sotto dei 2.000 metri, la copertura nevosa e i ghiacciai hanno subito un’allarmante riduzione negli ultimi 20 anni. Il fenomeno sta danneggiando il turismo e potrebbe compromettere l’approvvigionamento di energia delle centrali idroelettriche.

Fig. 7 – Una delle immagini che accompagnano l’articolo di National Geographic (marzo 2022) dal titolo “Inverni senza neve. Il riscaldamento globale mette in crisi l’economia delle Alpi”. La foto illustra la soluzione adottata nella stazione sciistica svizzera di Diavolezza (2.987 metri di quota) che accumula ingenti quantità di neve coperta da teli per evitarne lo scioglimento.

Anche quest’anno la stagione sciistica si avvia alla conclusione. Ancora una volta non è stata una stagione felice, e non solo per le restrizioni e i problemi causati dalla pandemia. La siccità ha colpito a lungo tutto l’arco alpino, dove ormai per la maggior parte del tempo si ricorre alla neve artificiale. Anche perché nelle Alpi le temperature aumentano a un ritmo doppio rispetto alle medie globali e a cavallo di Capodanno lo zero termico si aggirava attorno ai 3.500 metri.

Dall’Ottocento a oggi, e con un’accelerazione negli ultimi decenni, i ghiacciai delle Alpi hanno perso due terzi del loro volume. Intorno al 2050 potremmo perdere il ghiacciaio della Marmolada, uno dei primi destinati a scomparire, come scrive Jacopo Pasotti accompagnando le fotografie di Fabiano Ventura che confrontano lo stato attuale dei ghiacciai alpini con le immagini storiche scattate un secolo fa o più. E a metà gennaio la Direzione generale Industria della difesa e spazio dell’UE twittava una foto satellitare del ghiacciaio dell’Adamello, il più grande d’Italia, osservando che ha perso quattro chilometri quadrati negli ultimi 33 anni e che entro il 2100 potrebbe scomparire.

Come racconta Denise Hruby, in molte località si sta tentando di limitare i danni a un’economia basata sull’inverno, vuoi sparando neve artificiale, vuoi con teli geotessili per rallentare la fusione dei ghiacci (Fig 7). Ma queste misure serviranno tutt’al più a guadagnare tempo. Per salvare l’inverno sulle Alpi ci vorrebbe il massimo impegno a livello globale per combattere il cambiamento climatico. Sperando che basti.

Posizione del CAI italiano a proposito di ampliamento/nuova costruzione di impianti sciistici (Montagne 360, febbraio 2021)

Ricordiamo tutti come fortemente identitaria la delibera assembleare del 2013, a Torino in occasione del 150° di fondazione del Sodalizio, con cui veniva approvato il Bidecalogo, contenente le “Linee di indirizzo e di autoregolamentazione del Club alpino italiano in materia di ambiente e tutela del paesaggio”.

Per quanto riguarda il Turismo, muovendo dalla constatazione dei molti interventi infrastrutturali realizzati nel corso dei decenni e del connesso impatto col territorio montano, veniva focalizzata la situazione delle stazioni sciistiche, degli impianti esistenti e dei progetti di ampliamento o di creazione di nuove strutture in località “integre” e non ancora raggiunte da forme turistiche di massa.

Fig. 8 – Testata dell’editoriale di Vincenzo Torti sul numero di febbraio 2021 di Montagne 360

La posizione allora assunta può essere così sintetizzata:

a) Contrarietà alla realizzazione di nuove infrastrutture, nuovi impianti o ampliamento di quelli esistenti.
b) Divieto assoluto di qualsivoglia intervento nelle aree protette e nei siti Natura 2000.
c) Analogo divieto “negli ambiti altitudinali soggetti a condizioni climatiche che richiedano dispendio di risorse naturali ed energia per garantire l’innevamento artificiale”.
d) Ove e quando se ne ravvisasse l’opportunità socio-economica, nelle zone in cui tali infrastrutture siano già presenti, chiede sia sempre fatta una rigorosa analisi dei costi/benefici e della sostenibilità economica e ambientale
e) il turismo in montagna vada sostenuto con il miglior utilizzo dell’esistente ma, soprattutto, con un grande sforzo per la diversificazione dell’offerta mirata alle presenze lungo tutto l’arco dell’anno

Impianti in Appennino centrale in condizioni ambientali simili rispetto a quelle del Monte Catria (Relazione “Neve diversa” Legambiente 2020)

Questa la scheda relativa all’impianto del Monte Catria: Dopo i primi anni di attività l’impianto chiude e rimane abbandonato per un ventennio circa. Nel 2009 viene recuperato, la cabinovia viene riaperta e parzialmente ammodernata. Nonostante le giornate di neve e bel tempo siano scarse, si punta molto sullo sci, ma le cose non vanno come sperato e viene ideato un nuovo progetto di rilancio. Il progetto, dal costo stimato di 3,5 mln di euro, prevede: una seggiovia al posto dello skilift, lo skilift al posto della manovia, una nuova seggiovia, impianto di illuminazione notturna, impianto di innevamento artificiale con bacino idrico a 1300m, allargamento di tutte le piste e creazione di nuove. I lavori sono in corso nonostante le proteste di residenti e associazioni ambientaliste (Fig. 9).

Fig. 9 – La carta indica gli impianti che ancora sopravvivono grazie a forti iniezioni di denaro pubblico (Legambiente 2020)
ALTRI CATTIVI ESEMPI

Le aree di cava della Gola della Rossa e della Montagna di Cingoli

Tra le motivazioni riportate sopra va aggiunto quanto previsto dal piano regionale delle attività estrattive a completo vantaggio di pochi imprenditori e a scapito di tutti i cittadini marchigiani.

Fig. 10 – Cava della Gola della Rossa. Recenti proteste delle Associazioni ambientali suscitate dalla ennesima presentazione del “Progetto di riconversione industriale e riqualificazione ambientale dell’area Gola della Rossa, Comune di Serra San Quirico (AN)”

Questa considerazione riguarda il fatto, che sfugge ai più, che le cave calcaree dell’appennino marchigiano sono la fonte di materiale lapideo che approvvigiona gran parte delle regioni della penisola centrale a causa dei rilievi non più calcarei dell’Appennino settentrionale, esclusi quelli liguri, e della chiusura delle attività estrattive in tutta fascia montana abruzzese. Le aree di escavazione della Gola della Rossa e dei Monti di Cingoli costituiscono una ricca e limitata fonte di attività d’esportazione della quale le regioni confinanti ci sono infinitamente grate in quanto possono in questo modo salvaguardare le loro montagne (Parchi nazionali come quello delle Foreste Casentinesi, Gran Sasso-Laga, Majella, Abruzzo, Lazio e Molise, cui si aggiungono tutti i parchi e riserve regionali).

Ulteriori “pessimi esempi”

Sono talmente tanti che occorrerebbe un enciclopedia per descriverli. Mi limito quindi a due iniziative che avrebbero dovuto avere una discussione molto più accurata ed una valutazione delle soluzioni più attenta ai problemi della montagna e meno legata ad interessi particolari. Si tratta dei due altipiani più interessanti di tutto l’Appennino di cui condividiamo la responsabilità territoriale con l’Umbria, che sono stati sviliti e svenduti per “un piatto di lenticchie” a soggetti economici che non hanno tenuto in alcun conto l’interesse delle popolazioni locali e quello del fatto di essere beni comuni con un delicatissimo equilibrio ambientale:

  • il Parco eolico di Colfiorito (vedi articolo all’indirizzo web 2)
  • il Deltaplano di Castelluccio (vedi articolo all’indirizzo web 3)
  • l’Albergo a tre piani nell’area naturale dei Piani di Accumoli (vedi articolo all’indirizzo web 4) (Fig. 11)
Fig. 11 – I Pantani di Accumoli (Rieti) laghetti di origine glaciale che fanno parte degli habitat tutelati dalla Rete Natura 2000 tra i Monti Sibillini ed i Monti della Laga.

Preoccupante attualità

Venerdì 29 aprile 2022 è stato presentato ufficialmente a Sarnano (MC), comune dei Sibillini non facente parte del territorio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, il Progetto di sistema integrato della montagna, che prevede la possibilità di spendere ben 36 milioni di euro in tre anni. Tra le opere previste ci sono rifugi, una seggiovia, un camping di lusso, bob su rotaia, un osservatorio astronomico, una pista di pattinaggio su ghiaccio, una pista per gommoni da sci estate-inverno, glamping, un parco avventura e dei gonfiabili per bambini (vedi articolo all’indirizzo web 5) (Fig. 12).

Fig. 12 – Illustrazioni tratte dall’articolo della rivista on line Scimarche (Indirizzo web 5).

Alla soddisfazione da parte del Sindaco di Sarnano Luca Piergentili si sono aggiunte le riflessioni del Governatore della Regione Marche Francesco Acquaroli: “Vogliamo ricostruire questi territori, i tempi perché tornino ad essere vissuti sono lunghi, ma dobbiamo accelerare. Questo è un progetto importante per alzare il livello di competitività e attrattività turistica regionale, dobbiamo passare ad un’offerta turistica destagionalizzata che traina tante filiere, quella dello sci, quella del paesaggio, quella enogastronomica”..

IN CONCLUSIONE

Occorre invertire rapidamente questa ormai cronica tendenza allo sfruttamento irrazionale “di tipo coloniale” delle aree interne svantaggiate e prendere coscienza che soltanto una equilibrata distribuzione delle risorse economiche tra le diverse aree del territorio ed un corretto sostegno allo sviluppo socio-economico delle aree montane permetterà alla nostra regione, come alle regioni che si estendono sui rilievi dell’Appennino, di avviare una solida economia, basata sulla presenza stabile di popolazione, che rovesci la tendenza accelerata allo spopolamento (Fig. 13), e attività economiche basate sulla gestione sostenibile, intelligente e duratura delle risorse culturali ed ambientali custodite nei territori montani.

Fig. 13 – Confronto cartografico tra tassi di variazione della popolazione marchigiana nel quariennio pre-sisma 2013-2016 e nel recente periodo 2016-2019 (Bazzoli, Lello, 2019)

I rischi attuali sono dovuti alla concreta concomitanza di fattori indipendenti, uno di tipo culturale, uno politico ed uno di disponibilità economica, che rendono particolarmente preoccupante la proliferazione nei prossimi mesi di analoghi progetti (non solo nelle aree del cratere e della montagna appenninica):

  1. l’idea di trasferire nelle aree interne le problematiche di irrazionale sfruttamento e di urbanizzazione selvaggia del territorio tipica delle zone di fondovalle e della fascia costiera
  2. il profondo smarrimento e l’evidente impreparazione del mondo politico ad affrontare i temi della sostenibilità di fronte alla superficiale richiesta di consumo da parte di un’importante fetta dell’elettorato
  3. la contemporanea e consistente disponibilità dei sofferti finanziamenti per la ricostruzione post terremoto, insieme a quello che appare come un importante e facile accesso ai fondi straordinari del PNRR

Si tratta di capire se per uscire da decenni di abbandono socio-enomico, di sfruttamento e di degrado ambientale a carico delle aree interne, possa esserci una svolta con investimenti su oparazioni di marcheting tipiche del turismo di massa (contando sul richiamo verso la massa di turisti che si riversa d’estate sulla costa), senza alcuna attenzione ai danni irreversibili alla risorsa ambientale che dovrebbe costituire la fondamentale base di partenza di una ripresa economica e sociale e senza investire sul potenziamento della rete dei servizi, per la popolazione, prima ancora che per i turisti, di cui c’è completa e prolungata assenza!

Fabio Taffetani

BIBLIOGRAFIA
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