La data del 1° maggio fu scelta per la festa dei lavoratori come momento internazionale di lotta di tutti i lavoratori – senza barriere sociali o geografiche – per affermare i diritti e migliorare le condizioni di lavoro.
La battaglia nacque sull’orario di lavoro e la parola d’ordine, partita dall’Australia nel 1855, era “otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore per dormire” ed aprì la strada per la ricerca di una giornata unitaria da dedicare alle lotte.
Lo Stato dell’Illinois fu il primo ad approvare una legge che introduceva la giornata lavorativa ad 8 ore ma questa legge, che entrava in vigore il 1° maggio 1867, era limitata e non era applicabile a tutti i lavoratori e portò ad un grande manifestazione che coinvolse 10mila lavoratori a Chicago.
Successivamente, il 1° maggio 1886 ci fu una grandissima mobilitazione che coinvolse 400mila lavoratori e 12mila fabbriche in America con ben 80mila lavoratori in corteo a Chicago. Le manifestazioni si svolsero pacificamente ma nei giorni successivi si alzo la tensione che portò a gravissimi fatti di sangue.
A luglio del 1989, durante la Seconda Internazionale a Parigi fu lanciata la proposta: “Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi” e la scelta cadde sulla data del 1° maggio.
Così, nel 1890, si preparò la prima festa dei lavoratori come ricordato in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile1890: “Lavoratori ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”.
Malgrado non ci fosse stato un coordinamento generale e il grande allarmismo tra le forze dell’ordine il 1° maggio 1890 (ed anche la domenica successiva del 4 maggio) segnò un grande successo per la lotta dei lavoratori con tantissime manifestazioni in tanti stati e con tante e originali modalità tutte pacifiche (mi piace ricordare i lavoratori di Voghera che, costretti ad andare al lavoro, si vestirono a festa).
Fu così che si scelse di replicare anche l’anno successivo – ripetendo ed ampliando il successo – ed iniziò la tradizione del 1° maggio, un appuntamento del movimento dei lavoratori dedicato a rivendicazioni politiche e sociali impellenti facendone un giorno di lotta in festa che in Italia venne ratificato nel 1891.
Sempre in Italia, durante il fascismo, il regime stabilì che la festa del lavoro fosse spostata ed accorpata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma. Venne svuotata del significato originario e modificata nel nome divenendo, appunto, festa del lavoro (e non più dei lavoratori).
Subito dopo la liberazione del 25 aprile, in modo spontaneo, il 1° maggio 1945 si ritrovarono insieme nelle piazze d’Italia in un clima di entusiasmo i partigiani e i lavoratori, anziani militanti e giovani che non avevano memoria della festa dei lavoratori.
La giornata è rimasta festiva nel calendario italiano e mantiene la denominazione di festa del lavoro come riportato anche nei documenti del governo italiano e nella pagina del Consiglio dei Ministri.
A questo proposito è interessante guardare ai lavori della Costituente per la scrittura della costituzione italiana che stabilisce quale primo principio fondamentale che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
L’Assemblea Costituente dibatté lungamente su cosa e come scrivere questo articolo che, più di altri, rappresenta una sintesi delle parti politiche che hanno partecipato ai lavori (socialista, comunista, democristiana, liberale) che volevano dare la sua impronta fin dal primo articolo fondante.
La discussione durò mesi e il risultato fu una sintesi e una mediazione, che evidenzia la grande capacità dimostrata dalle madri e dai padri costituenti di trovare un punto d’incontro in cui italiane e italiani potessero rispecchiarsi.
Inizialmente la formula proposta era stata “l’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori” e fu Amintore Fanfani a proporre la formulazione definitiva di “fondata sul lavoro” spiegandola come “affermazione del dovere di ogni uomo di corrispondere il massimo contributo alla prosperità comune”.
Quindi la costituzione italiana intende il lavoro in senso ampio come partecipazione collettiva alla crescita ed al benessere ed anche come principale fattore di autorealizzazione e strumento per dare attuazione a tutti gli altri diritti soggettivi.
Nel 1955, in un incontro con gli studenti che aveva come tema la Costituzione, Pietro Calamandrei, nel ricostruire lo stretto legame tra gli articoli nn. 1, 3 e 34, spiegò il significato profondo della scelta di inserire il lavoro come principio fondamentale e fondante della Repubblica Italiana dicendo: “L’art. 34 dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere più alti gradi degli studi». Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a Voi. Dice così: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo – L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.”
Come ricordava giustamente Calamandrei, il lavoro, la garanzia del lavoro, le condizioni di lavoro, la retribuzione del lavoro sono il criterio con cui misurare l’uguaglianza di fatto degli uomini, quindi la democrazia o l’assenza di democrazia nella Repubblica e, per questo, la giornata del 1° maggio deve essere considerata la festa del lavoro e dei lavoratori.
Paola Petrucci
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