Non più così. Costruire la pace per scongiurare la morte del mondo

Di fronte all’aggressione criminale contro l’Ucraina e alla guerra intrapresa da Putin occorre dare solidarietà autentica al popolo ucraino e mantenere la lucidità del pensiero critico, altrimenti si alimenta la pandemia più grave: il contagio della guerra. Leaders politici e media stanno diffondendo il mito della guerra giusta, legittimato persino da intellettuali attenti come Luigi Manconi, Erri De Luca, Vito Mancuso e Dacia Maraini. In realtà non esistono soluzioni militari ai conflitti. Questa è la verità storica ed etica fondamentale. La guerra è un dispositivo distruttivo che produce solo vittime e coltiva le guerre future. È il male organizzato che opera come il peggiore dei contagi: per vincerlo bisogna spezzarlo, non espanderlo con il riarmo e l’abolizione del dialogo.

La natura violenta e totalitaria del governo di Putin è stata evidente sin dall’inizio sia nel modo di eliminare chi dissente (come accadde con l’assassinio di Anna Politkovskaja), sia nei massacri perpetrati in Cecenia e in Siria. Ma scegliere di fare la guerra alla Russia invocando l’analogia con la Resistenza contro il nazifascismo significa fraintendere l’eredità di quanti si trovarono nella tragica necessità di reagire anche (e non solo) con le armi per l’entità e la gravità assolute di quel male. Dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza europea si vede che essi si sollevarono non per affermare la guerra giusta, ma nel desiderio di costruire una società finalmente nonviolenta che abolisse ogni guerra. Di qui il dovere di preparare un ordine di pace per via educativa ed economica, politica e diplomatica. La Resistenza non fu una “guerra giusta”, come molti dicono per giustificare tutte le future “guerre giuste”, ma una sollevazione democratica dopo vent’anni di dittatura per separare definitivamente la guerra dalla giustizia e dalla democrazia.

Per imparare a fronteggiare i casi di aggressione armata bisogna formare i popoli alla difesa nonviolenta trasformando gli eserciti in un corpo dell’Onu con funzioni di polizia internazionale. La situazione attuale non ci chiede di armare l’esercito ucraino, di moltiplicare la spesa militare e tanto meno di costruire un esercito europeo. La lezione della seconda guerra mondiale viene tradita, tra l’altro, spingendo al riarmo proprio la Germania e il Giappone. Anche la nostra Costituzione va liberata dall’ambiguità. Non si può più dire (come nell’art. 11) che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”. Bisogna dire che l’Italia ripudia la guerra. E basta. Né si può ripetere, come nell’art. 52, che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” senza dire che la difesa va attuata come protezione civile e non più con le forze armate.

La responsabilità del crimine di aver invaso l’Ucraina e di aver avviato la guerra è di Putin e niente ne attenua la colpa. Questo va detto avendo chiaro che le colpe di uno degli attori della geopolitica non sono mai scusabili per le colpe dei suoi antagonisti. Ognuna delle superpotenze del mondo sta facendo del suo peggio. Bisogna infatti riconoscere che la decisione di Putin rientra nella stessa logica della strategia di espansione della Nato, che è già una dinamica di guerra, legittimata con il solito pretesto della “difesa” e della “sicurezza”. Se si considera l’andamento complessivo della storia dopo il 1989, la responsabilità sistemica della condizione di disgregazione e iniquità in cui siamo è degli Stati Uniti, con la loro pretesa di essere l’impero del mondo e di fare del capitalismo la civiltà planetaria definitiva. In ogni caso, chiunque persegua logiche imperialiste contribuisce alla rovina dell’umanità.

Ma soprattutto bisogna vedere che oggi l’esasperazione dello scontro – con la reazione di Usa, Nato e Unione Europea (riarmo, sanzioni, espansione della Nato invece che dialogo e trattativa) – tende a far sprofondare il mondo nella guerra nucleare. Colpisce quanto questa eventualità sia rimossa, come se assistessimo alle scene di un videogioco senza conseguenze reali. Dare armi al governo di Zelensky non significa affatto difendere il popolo ucraino, che anzi così viene inchiodato a subire gli effetti della guerra; significa accelerare la spirale della morte del mondo. La volontà della Finlandia e della Svezia di aderire alla Nato non fa che accelerare questo vortice catastrofico.

Adesso in Europa per le vittime c’è una “solidarietà” selettiva (per i profughi bianchi ed europei sì, per quelli di altri continenti e di altro colore della pelle no) e strumentale. Si “aiuta” il popolo dell’Ucraina alimentando la spirale bellica a cui i combattenti ucraini di fatto partecipano su procura, per difendere non solo il loro Paese, ma anche gli interessi degli Stati Uniti. Il popolo ucraino fa da vittima, ma la guerra è tra Russia e Occidente. Nel discorso pubblico dominante, dove “democratico” e “atlantico” si fondono, tutte le guerre condotte dalla Nato e l’enorme numero di vittime che hanno causato – soprattutto in Iraq, Afghanistan, Serbia e Libia – non sono minimamente ricordate, nessuno dei loro responsabili viene accusato per crimini contro l’umanità.

Intanto la grande transizione ecologica richiesta dall’urgenza di salvarci viene rovesciata nel processo di militarizzazione della società. Finché questi sono l’assetto del mondo e il modo di fare politica, il bene dei popoli e la volontà dei governi non coincidono affatto. Certo, la guerra in Ucraina potrà cessare solo per un accordo diplomatico tra Russia, Stati Uniti e Cina, evento ora improbabile ma inevitabile se si vuole scongiurare la catastrofe. Il punto però è che la parte più consapevole dei popoli deve sollevarsi contro questo sistema di guerra permanente. Ora basta. Non più così. Le scelte politiche devono essere ispirate da un’etica che consenta di scegliere la vita e di prendersi cura del bene comune. L’Europa deve diventare una comunità solidale che non accetta di trovarsi riunita proprio sulla base dei due strumenti di lotta più diffusi, la moneta e l’esercito. L’Europa ha senso solo se è democratica e lo è solo se traduce politicamente la scelta della nonviolenza, dando un contributo di pace al mondo.

La politica della nonviolenza come esercizio della giustizia che risana le situazioni senza fare vittime è l’unica via. Ognuno può dare il suo apporto se riesce a spezzare il contagio della violenza dentro di sé. Chi sperimenta questa svolta non può non attuarla nell’azione culturale e politica, educativa ed economica. Niente ci impedisce di assumere la pace come metodo, senza ridurla a una meta remota. È per dire pubblicamente queste cose che come “Dipende da Noi” saremo stasera alla fiaccolata per la pace ad Ancona e domenica 24 aprile alla marcia Perugia-Assisi, perché siano occasioni di risveglio collettivo.

Roberto Mancini

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