Dopo due anni di pandemia, ci stiamo veramente abituando a tutto! Che sia questa la resilienza cui si accenna nel PNRR? Ripresa e profitti per alcuni, resilienza e rassegnazione alle difficoltà per i più. Dalla pandemia alla fame … ma se guardassimo assieme alcuni dati per provare a capire l’entità e l’impatto della lamentata penuria alimentare?
Manca il grano? E il mais? Mancano le materie prime agricole? Chi subirà questa mancanza? Quali paesi? Quali industrie? Quali settori? Quali sistemi di produzione agricola? Dobbiamo rispondere a queste ed altre domande se vogliamo fare un minimo di chiarezza.
Abbiamo individuato Eurostat/COMEXT come una fonte attendibile da cui trarre alcune statistiche.
La mancanza di materie prime agricole sembrerebbe lieve e di facile riaggiustamento per l’Unione Europea (UE) come tale, visto che questa è il primo esportatore mondiale di prodotti agroalimentari.
La UE copre il 36,3% delle esportazioni agroalimentari, mentre gli USA solo il 9,5%. Tra il primi dieci paesi esportatori non figurano né Russia né Ucraina.
Però la UE è anche il primo paese per importazione di prodotti agroalimentari con il 32.4% del totale, seguito dalla Cina con l’11,7%. La Russia si colloca all’ottavo posto con un modesto 1,6%.
Le importazioni di prodotti alimentari sono così suddivise. La UE realizza il 33%, gli USA il 10,3% seguiti dalla Cina con il 10, 1%. La Russia, sempre in ottava posizione, con un 1,8%.
Detto diversamente, il mercato globale dei prodotti agroalimentari è saldamente nelle mani della UE, grazie a 50 anni di Politica Agricola Comune (PAC) che hanno finanziato a piene mani l’agricoltura industriale che fornisce materie prime a costi ridotti all’industria agroalimentare che rafforza così la sua capacità di competere sul mercato mondiale, spesso operando con modalità di dumping verso le produzioni dei paesi terzi.
E l’Italia?
Vediamo l’analisi che fa Associazione Rurale Italiana (ARI). È incontestabile che “quasi 50 paesi dipendono dalla Federazione Russa e dall’Ucraina per almeno il 30% del loro fabbisogno di importazioni di grano. Tra questi 50 paesi non c’è l’Italia.
Allora, se non c’è penuria, perché assistiamo ad un aumento continuo del prezzo del grano e, di conseguenza a quelli già annunciati di pane, pasta, prodotti da forno?
È stato già sottolineato da ECVC, il Coordinamento Europeo Via Campesina, che la guerra sta venendo usata come leva per annullare le poche buone conquiste ambientali e sociali della nuova PAC e delle strategie europee (QUI il comunicato).
A chi giova questa crisi? C’è chi sta speculando sul rialzo dei prezzi del grano? La sovranità alimentare dell’Italia e dell’Europa è a rischio a causa della guerra o di scellerate politiche a favore di pochi?
La conclusione della approfondita analisi fatta da ARI è che “invece di intervenire con politiche pubbliche per stroncare il tentativo di borsa nera di grandi dimensioni, si chiede di finanziare con denaro pubblico un sistema di produzione agricolo industrializzato fragile per sua stessa natura, come ha dimostrato già nella pandemia, ed un comparto agroalimentare che, alla ricerca di materie prime a basso costo sul mercato globale liberalizzato, paga, oggi, il prezzo della sua dipendenza”.
Saremmo insomma di fronte al vero e proprio paradosso di curare il male con una medicina che lo aggrava, di struttare il dramma della guerra per industrializzare e globalizzare ancora di più il settore agricolo, per allontanare le comunità da quelle forme di agricoltura capace di conservare il suolo, la ricchezza della biodiversità e dei paesaggi agrari, tenendo popolate le campagne e la montagna e vivi i saperi, le tecniche, i prodotti locali.
Allora il dramma della guerra non ci deve far desistere dalla lotta a favore della nuova agricoltura contadina sulla quale tante persone anche nella nostra regione puntano. Sono realtà fortemente radicate nei territori e prevalentemente orientate al mercato locale, che hanno nel tempo sviluppato una gestione dell’attività produttiva relativamente autonoma dai circuiti di mercato. Quella agricoltura contadina che, sotto forma di agricoltura familiare, produce olte l’80% del cibo mondiale.
Spesso tendiamo ad analizzare ogni cosa in compartimenti stagni e questo ci porta a considera pace e ambiente due argomenti separati, ma le connessioni tra guerra e crisi ambientali globali sono molteplici. Solo provando a leggere la realtà con uno sguardo globale e olistico, non possiamo non vedere i legami tra guerra, clima, ambiente e giustizia sociale. Non si tratta di dimenticare la guerra, ma al contrario prendere a cuore la costruzione della pace.
Maria Letizia Ruello
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