Premessa. Per una volta questo post presenta dati statistici e lo fa anche con riferimento a questioni delicate come la durata della vita in rapporto alla pandemia e alla qualità della nostra sanità. Me ne scuso perché dietro ai numeri so bene che ci sono tante vicende umane dolorose di singole e vere persone, famiglie e comunità. Ma quei numeri servono a chiarire come in questo periodo il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) stia scricchiolando.
Il SSN sta innanzitutto scricchiolando sotto i colpi di uno storico sottofinanziamento. Non sono un gran esperto di questi temi, ma notoriamente la sanità italiana riceve un finanziamento tra i più bassi in Europa. Nel sito della Camera dei Deputati si legge che in termini di spesa sanitaria complessiva per l’Italia (componente pubblica e privata), i dati indicano un’incidenza sul Prodotto Interno Lordo (PIL) pari all’8,8 per cento, inferiore alla media dei 28 Paesi dell’Unione Europea (oltre il 9,5%) e a quella dei principali Paesi europei (Francia e Germania, ad esempio, si attestano ben oltre l’11 per cento). Quindi non è che chi governa a livello centrale non sappia.
Ma se Sparta (la sanità) piange, Atene (la scuola e la ricerca) non ride. Per quanto riguarda la scuola leggo qui che “I dati di Eurostat parlano chiaro. L’Italia è il Paese europeo che, in percentuale rispetto alla propria spesa pubblica, investe meno in “educazione”, una categoria che comprende la scuola dell’obbligo, l’università, servizi sussidiari all’educazione e altri tipi di formazione. L’Italia destina l’8,0% della propria spesa pubblica in questo campo, posizionandosi all’ultimo posto della classifica dopo la Grecia (8,3%). La media Europea è del 10,0%. Paesi come la Svizzera e l’Islanda doppiano le nostre cifre, assestandosi intorno al 16%. Altri grandi Paesi europei comparabili con l’Italia hanno tutti percentuali nettamente più alte: 9,6% la Germania, 9,5% la Spagna e la Francia”. Quanto alla ricerca leggo nel sito dell’ISTAT che “Nel 2019 la spesa complessiva in Ricerca e Sviluppo (R&S) effettuata da imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni private non profit e università, ammonta a circa 26,3 miliardi di euro, con un’incidenza percentuale sul PIL pari all’1,47% e in crescita rispetto all’anno precedente (1,42%). Diminuisce quindi la distanza dal target di Europa 2020 che per l’Italia è pari all’1,53% della spesa in R&S in rapporto al Pil.”
Dunque, lo so che non è una gran scoperta, in Italia abbiamo un enorme problema strutturale di capacità del sistema pubblico di tenere in piedi finanziandoli adeguatamente i due fondamentali pilastri della sanità e della istruzione/ricerca.
Oltre al sottofinanziamento la sanità pubblica italiana ha pagato un alto prezzo alla carenza di personale, frutto di una lunga serie di fattori tra i quali ricordo i tetti di spesa per il personale imposti alle Regioni e il mancato o tardivo e comunque inadeguato rinnovo sia dei contratti di lavoro del personale dipendente che degli accordi con il personale convenzionato come i medici di medicina generale.
In una situazione come questa è quasi un miracolo che per anni l’Italia si sia ritrovata ai primi posti in Europa come stato di salute della popolazione. Ma le cose stanno cambiando. Nell’ultimo Rapporto Meridiano Sanità 2021 di The European House -Ambrosetti l’indice dello stato di salute degli italiani perde quattro posizioni rispetto all’anno precedente passando dal terzo al settimo posto. Ricordo che in base allo stesso indice le Marche si collocano al nono posto tra le Regioni italiane.
La salute degli italiani è fortemente peggiorata con la pandemia. Dal già citato Rapporto Meridiana Sanità 2021 si ricava che l’Italia è stato nel 2020 il paese con la maggiore riduzione dell’aspettativa di vita in Europa con una riduzione dell’1,4%, dagli 83,2 anni del 2019 agli 82 del 2020, dato che ci riporta indietro di nove anni. Nelle Marche, tra tanti dati riportiamone almeno uno “consolante”, anche nel 2020 siamo stati ai primi posti in Italia come aspettativa di vita, al terzo posto con 82,9 anni. Ciononostante nelle Marche c’è stato nel 2020 una riduzione di 1,1 anni in termini di aspettativa di vita rispetto all’anno precedente.
Ma se la pandemia sta raggiungendo (pare) in Italia e quindi nella nostra Regione il massimo picco in termini di casi e di impatto sia sulla salute che sul sistema ospedaliero, lo stesso non vale per le criticità del nostro sistema sanitario. Queste aumenteranno se non si sarà capaci di due cose almeno. La pandemia ha “lasciato indietro” tutte le altre malattie e le Regioni dovrebbero – questo è il primo punto – recuperare il terreno perduto garantendo adesso le prestazioni rimandate. Le Regioni dovrebbero trasformare poi – e questo è il punto fondamentale – i loro assetti organizzativi per rispondere meglio a future analoghe emergenze. A questo dovrebbero servire i fondi in arrivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Su questi due punti vengono fuori in modo chiaro e grave i problemi di casa nostra, della sanità delle Marche. È evidente che chi la governa non ha idea di come recuperare “le prestazioni perdute” e ha idee tutte sbagliate sul ridisegno della nostra sanità. Il modo in cui la Regione sta programmando l’utilizzo dei fondi del PNRR, infatti, è orientato al mantenimento del consenso elettorale e non ha dietro alcuna idea di “nuova sanità”, quella in cui il territorio non solo ha nuove strutture, ma anche nuove idee e quindi nuovi modelli culturali e organizzativi e in cui la rete ospedaliera è razionalmente distribuita e non irragionevolmente dispersa. Questo del PNRR è un tema decisivo e varrà la pena di approfondirlo al più presto.
Claudio Maria Maffei
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