Il 31 di maggio sono ricorsi i 47 anni di scuola democratica in Italia. Nel lontano 1974 il DPR 416 decretava un altro modo di gestire la scuola pubblica, non più una istituzione in mano ai soli dirigenti ma una comunità scolastica gestita oltre che dagli insegnanti anche da studenti (nelle scuole superiori) e genitori. Una rivoluzione pedagogica, oltre che politica, sull’onda di quel rinnovamento sociale che fu il movimento del ‘68. Una rivoluzione che il sistema culturale di ottocentesco retaggio, di cui la Scuola era ed è ancora imbevuta, non ha però mai digerito e ha cercato in ogni modo di scoraggiare. Guardando al percorso di cambiamento che i Decreti Delegati avrebbero dovuto realizzare nella gestione della democrazia scolastica non si può non trarne un bilancio complessivamente deludente. Se in un primo momento la partecipazione di tutti i soggetti scolastici aveva trovato un certo slancio ed entusiasmo, col passare del tempo la presenza di genitori e studenti si è trasformata in pratica formale e anche i collegi docenti sono stati lentamente ripresi in mano dai dirigenti.
L’evidenza di ciò è nella progressiva difficoltà ad eleggere rappresentanti negli organi collegiali, fenomeno emerso inizialmente nelle scuole superiori per estendersi poi alle medie e alla scuola primaria: perché caricarsi di un tale impegno se, nei fatti, genitori e studenti non riescono a far passare le proprie proposte? La riforma della “Buona Scuola”, voluta da Renzi, ha aggravato la situazione incrementando il potere dei dirigenti, privando ulteriormente gli organi collegiali di capacità decisionale propria.
La democrazia scolastica è rimasta in gran parte sulla carta e la responsabilità di questo va attribuita anche agli insegnanti che non hanno saputo o voluto opporsi a tale processo pur avendone la possibilità tecnica.
Il danno è grave, sia perché una scuola che non crede nella democrazia non è capace di produrre creatività e cambiamento, sia perché educatori che non sanno viverla non possono neppure insegnarla ai giovani.
La democrazia si impara a scuola ma non dai libri, si impara vivendola come comunità educante in cui circola fiducia e cooperazione. La democrazia si impara a scuola se insegnanti, studenti e genitori son capaci di gestire insieme la scuola stessa. Viceversa la scuola si rende responsabile dello svuotamento del concetto di democrazia, che è proprio ciò che al sistema basato sul profitto risulta più utile per reiterarsi con sempre maggiore prepotenza.
Nelle nostre scuole, infatti, si parla di democrazia, si fa studiare nei libri e diviene oggetto d’interrogazione, capita anche che essa sia posta al centro di belle riflessioni ma poco o niente è vissuta nelle concrete relazioni con gli insegnanti, nella gestione delle classi e degli istituti. Vivere e sperimentare la democrazia non può semplicemente ed unicamente risolversi nella formale e ormai svilita presenza degli studenti superiori negli organi collegiali; la democrazia si impara nelle relazioni quotidiane tra insegnanti e studenti di ogni età, di ogni ordine e grado scolastico, perché essa non è semplicemente un concetto da apprendere ma il modo di sperimentarsi assieme agli altri nella vita di tutti i giorni, negli impegni, nelle fatiche, negli errori e nei successi. In forme diverse e adatte all’età si può costruire attraverso un processo di fiducia e di responsabilizzazione che gli insegnanti incoraggiano nei loro allievi e allieve. Il primo passo da fare è abolire il potere autoritario che si manifesta nel voto, nella misurazione e nel controllo continui, nelle regole dall’alto, nella didattica passiva, nei programmi confezionati, per passare alla gestione della classe cooperativa, alle regole stabilite insieme, alla didattica attiva, alla valorizzazione delle diversità, alla valutazione dialogica e rispettosa della persona. Una scuola in cui bambini e bambine, ragazzi e ragazze programmano insieme agli insegnanti la didattica, si impegnano a rispettare le regole auto determinate, si concepiscono come comunità di classe e si dividono i compiti per gestirla, formano commissioni di lavoro assieme agli insegnanti per progettare attività di istituto, imparano per passione; e questa non è scuola dei sogni ma realtà già sperimentata e viva in tanti istituti. Il progetto della Scuola e Pedagogia del Gratuito ha contribuito a ciò assieme a molte altre realtà e spesso anche a singoli e coraggiosi insegnanti. Occorre però che sempre più si diffonda questo concetto in tutte le scuole della repubblica. Abbiamo una responsabilità troppo grande per ignorarla: giovani che crescono con un concetto debole di democrazia difficilmente avranno la forza di assicurare un futuro democratico alla società. Solo una scuola della fiducia e della gratuità potrà salvarci dai ritorni cupi della storia.
Ferdinando Maria Ciani
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