La sfiducia, ripete spesso Roberto Mancini, è la nemica dell’impegno politico. Ben più pericolosa dei nostri avversari, è la complicità che diamo allo sconforto, al pessimismo. Un senso di paralisi ci avvolge ogni qual volta perdiamo la prospettiva di una trasformazione possibile. Il ripiegamento implica sempre, e necessariamente, una disperazione che desertifica l’anima e rende impacciati i corpi nel loro incontro con il mondo.

Quale antidoto, dunque, alla sfiducia? Non basta la volontà. Non saranno le buone intenzioni a rimetterci in carreggiata (anche se, in mancanza di forza di volontà e determinazione, i progetti sono destinati a declinare e poi smarrirsi). Il nostro tempo coltiva un culto risibile delle decisioni razionali e coscienti, le quali – come ben sanno psicologi, neuroscienziati e filosofi – giungono spesso in ultimo a coronare processi sottili che sfuggono all’ordinatore dell’Io e alle sue pretese di dirigere gli eventi in ogni passaggio. Quello che ristabilisce la fiducia, e che richiede anche il nostro contributo consapevole è, piuttosto, un aprirsi al contatto, un sentire nella presenza condivisa con il mondo ciò che va quotidianamente oltre la miseria del potere, dell’autointeresse, dell’ignoranza compiaciuta.

Se qualcosa dobbiamo scegliere è di lasciar entrare, di non arrenderci a una convinzione fuorviante: che tutto sia già scritto e che il futuro aspetti solo che ne celebriamo il funerale. Per questo non trascurerei la forza liberante della poesia, della musica, della letteratura, dello sport, dello stare insieme semplicemente per… stare insieme. Si dirà che vi è molto di ingenuo e prepolitico in questo auspicio di un’arte di vivere centrata sulla cultura e sulla condivisione, ma chi pensa questo trascura un punto decisivo: la buona politica non si fa con le passioni tristi, con il cuore ricolmo di astio, con la presunzione che la vita sarebbe felice e pacificata se solo potessero sparire tutte quelle persone che non soffriamo proprio, che insidiano le nostre convinzioni. Ecco perché, in tempi così bui, pieni di contraddizioni e di fazioni cieche che si contrappongono, diventa necessario ritrovare la fiducia. Una fiducia che nulla c’entra con l’ottimismo di facciata che il sistema di mercato chiede ai suoi sudditi, ma che sa guardare più in fondo, persino dentro le ferite. E cosa troverà “in fondo” questa fiducia? Una verità che dà da vivere: noi prendiamo parte a un’avventura più grande delle nostre paure e la sfiducia stessa non è che una figura che transita, come ogni altra figura. Nulla è mai deciso una volta per tutte. La verità è un cammino ininterrotto.

Paolo Bartolini

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