Quale ricostruzione per l’entroterra danneggiato dagli eventi sismici del 2016?

La questione terremoto non riguarda semplicemente la ricostruzione materiale di paesi e borghi, ma interroga direttamente la ricostruzione sociale di un territorio, l’entroterra appenninico, che rappresenta, sia geograficamente che dal punto di vista storico, la spina dorsale dell’intero paese.

Senza una riflessione sulla struttura sociale reale, appare velleitario qualunque ragionamento su ogni ipotesi di intervento volto ad un intervento di rilancio, perché rischierebbe di riprodurre le cause all’origine del ritardo economico proprio dell’entroterra, caratterizzato da quello che può essere definito, semplificando, una sistema di accumulazione parassitario, cioè che non si cimenta con l’economia reale, ma tende a sottrarsi a qualsiasi confronto con il mondo esterno, che viene visto come una minaccia da rifuggire pervicacemente: riflettere sulla ricostruzione significa pertanto andare innanzitutto ad individuare le cause che hanno determinato la decadenza dell’entroterra ben prima del sisma e che il sisma ha, suo malgrado, amplificato, per poi scegliere le strategie migliori per un loro superamento.

Se si vuole agire sulle cause del ritardo e della decadenza dell’entroterra, si dovrebbe riflettere sui volani che avrebbero dovuto avviarsi in passato e che invece sono stati sacrificati sull’altare di una economia dello spettacolo, basata cioè sulla spettacolarizzazione degli interventi. L’esempio storico della cosiddetta Quadrilatero risulta essere emblematico in tal senso: fatto apparire come la chiave di volta per rilanciare le aree interne, di fatto ha agevolato le più attraenti aree costiere. Ai residenti che hanno visto sventrare le proprie montagne, ad oggi non resta che guardar passare le auto riversarsi nella riviera.

Oggi dobbiamo agire all’inverso: ricostruire anzitutto il tessuto sociale al fine di ridare un peso ad un’area fondamentale per la sostenibilità dell’intero sistema paese. Per ricostruire questo tessuto, è necessario individuare i caratteri fondamentali che caratterizzano il suo territorio, denso di storia, di arte, di bellezze naturali e ambientali uniche, ma anche di beni e prodotti frutto di un’antica tradizione fondata sul lavoro: cioè da quelli che possono a tutti gli effetti definirsi come BENI COMUNI, che devono tornare ad essere le pietre miliari su cui orientare il futuro delle comunità locali.

Per questa via, le aree interne hanno bisogno di cimentarsi con nuovi modelli di sviluppo, che siano anzitutto più inclusivi, che siano fondati sulla valorizzazione del territorio, dei prodotti peculiari, della storia e dell’arte, della natura.

Ma per fare questo è necessaria anzitutto una rivoluzione culturale, un cambio di prospettiva che deve riguardare anzitutto tutti gli abitanti ed i residenti, senza la quale quella lenta strategia dell’abbandono avrà come miglior alleato proprio quella stessa popolazione che, bisogna ricordarlo, nella sola area del cratere maceratese ha visto una diminuzione complessiva di oltre 15.000 unità.

Tanti esempi sono emersi in questi ultimi anni, dalle cooperative di comunità agli studi socio-economici di svariate università, molto spesso alimentati dai comitati che sono sorti spontaneamente su tutto il cratere sismico, segno che ci sono ancora le potenzialità per rilanciare una visione altra per il futuro di tutto il territorio.

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione recita l’articolo 9 della costituzione: è tempo che questo principio diventi la stella polare per la ricostruzione.

Alessandro Campetella

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