Tre concetti per una nuova prospettiva politica. Dal con-dividuo al noi collettivo

“Che cosa ci legittima a usare il noi collettivo? Non si può sperare di avere una comprensione adeguata della condizione umana senza dare una risposta a questa domanda.” Così Margaret Gilbert la filosofa sociale inglese sintetizza la questione centrale del suo libro “Il noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale”. La posta in gioco non è solo politica o sociale ma è relativa alla comprensione della condizione umana. Ma perché chiarire il concetto di noi collettivo dovrebbe essere così importante per definire la condizione umana? Dove vuole condurci la ricerca della filosofa inglese, forse a stabilire che l’ontologia dell’essere umano è profondamente relazionale e collettiva?

Uno degli elementi di maggiore interesse della ricerca di Margaret Gilbert è costituito dal fatto che la studiosa, come giustamente viene sottolineato anche nella presentazione al libro scritta da Francesca De Vecchi, non vuole fondare un’ontologia relazionale a livello fisiologico o biologico a partire dalla considerazione dell’insieme degli esseri viventi. Il suo discorso semmai è legato a un’ontologia esistenziale di tipo sociale là dove dobbiamo riflettere attentamente sul termine esistenziale inteso come qualcosa che emerge e si manifesta nella relazione con altri esseri all’interno di un mondo condiviso. Alla Gilbert non interessa sapere, come interessava a Elena Gagliasso o a Francesco Remotti, se siamo simbiontici o con-dividuali per natura o per vocazione, ma interessa riflettere su ciò che permette a un insieme di persone di trasformarsi in un noi collettivo e qui l’elemento fondamentale diventa di natura etica e politica perché si basa su una scelta, su una decisione che poi diventerà l’impegno congiunto. Proviamo a fare un esempio sul tema dei migranti. Cos’è che ci fa propendere per il sostegno a politiche di accoglienza e di riconoscimento dei diritti umani e quindi anche dei diritti dei migranti? Noi, un gruppo di persone, possiamo pensare al fatto che i migranti e le migranti sono nostri e nostre simili e possiamo dunque fare un ragionamento che ci conduca a riconoscere l’eguaglianza dei diritti fondamentali per tutti gli esseri umani che sono simili e interconnessi tra loro. Ma se poi questa nostra convinzione non si traduce in una decisione, in una scelta, in una iniziativa, in un sostegno esplicito a politiche di accoglienza e di riconoscimento dei diritti umani, noi non stiamo agendo nel senso del noi collettivo: è la decisione, è la scelta che ci permette di fare questo scarto, questo salto in avanti. I noi sono ben fondati “quando si riferiscono ad una serie di persone che sono in qualche modo congiuntamente impegnate (jointly committed) l’una con l’altra. Queste persone costituiscono un’associazione piuttosto che un aggregato. Qui c’è una unità reale di tutte loro”. È l’impegno congiunto che crea il noi collettivo e lo fa esistere ed è l’impegno congiunto che bisogna quindi indagare approfonditamente.

“Un impegno congiunto – afferma in modo trasparente Margaret Gilbert – è un impegno di due o più persone. Non è la congiunzione di un impegno personale di una persona e di impegni personali separati di altre persone. Piuttosto, è l’impegno di tutti loro”, cioè quando le parti sono congiuntamente impegnate come un corpo unitario. Si tratta di un passaggio fondamentale: l’impegno congiunto non può essere semplicemente la somma di impegni individuali, nemmeno se fossero identici, è invece indispensabile che ci siano volontà e consapevolezza di andare nella stessa direzione da parte degli attori che sono coinvolti, perché solo così le parti diventano un corpo unitario. Rispetto a questo punto è necessario mettere in evidenza un aspetto che risulta decisivo per capire l’originalità del contributo di Margaret Gilbert. Volontà e consapevolezza di andare nella stessa direzione devono tradursi esplicitamente in un patto, un accordo, un vincolo che comportino reciprocità tra le parti. Senza vincolo un insieme di persone è soltanto un aggregato, una somma di persone singole; attraverso un accordo, un impegno congiunto, diventa invece un corpo unitario, un noi collettivo che coopera per realizzare un fine condiviso. Qual è il confine che distingue la dimensione individuale da quella collettiva secondo Margaret Gilbert? Quello della decisione, dell’accordo che vincola e dunque è reciproco: prima siamo solo soggetti individuali, dopo diventiamo soggetto plurale in cui l’impegno congiunto ha sviluppato un legame profondo tra i componenti. Il noi collettivo emerge e si manifesta a partire dalla volontà di persone che insieme intravedono una strada comune e insieme si impegnano a seguirla. Il prima, il momento fondativo, non è costituito da due o più soggetti individuali che semplicemente la pensano allo stesso modo, né da una realtà collettiva pre-esistente alla quale i singoli soggetti aderiscono. Il momento fondativo, il nuovo inizio, ciò che determina la nascita di qualcosa di diverso è una scelta reciproca segnata da un percorso di riconoscimento, di comunicazione, di confronto, di condivisione e di empatia.

Resta aperta una domanda: in che modo una comunità in cui si esprime un noi collettivo basato su un impegno congiunto concretizza eticamente e politicamente il proprio impegno a favore della collettività? Si apre qui il terzo orizzonte di riflessione del nostro percorso, tracciato da Carol Gilligan: quello della cura intesa come prendersi cura che ci fa intravvedere una nuova prospettiva di giustizia.

(3/5 continua)

Fabrizio Leone

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