Immaginare un’umanità post-sviluppo

Come uscire dal labirinto? Con quali forze e quali alleati? La democrazia è sotto assedio. Tra stati di emergenza e governi “tecnici” mai eletti dai cittadini, è chiaro che la politica contemporanea viva di ricordi. Non mancano lotte e forme di resistenza, al contrario. Tuttavia è innegabile che una cappa di depressione sociale incomba su di noi, inibendo l’azione e il pensiero. I rapporti di forza sono fondamentali, eppure non mi abbandona la sensazione che il punto nevralgico per ogni trasformazione dell’esistenza si dia all’interfaccia tra parola e corpo, teoria e gesto. L’immaginario è il luogo, per quanto impalpabile, dove si gioca la battaglia decisiva.

Non l’immaginario inteso come chiacchiera, fumo negli occhi, fantasia per chi ha la testa tra le nuvole. Penso piuttosto a quell’area intermedia della vita umana abitata da simboli, miti e immagini di mondo. La nostra sudditanza al sistema di astrazione che possiamo chiamare tecno-capitalista, deriva da un insieme di lacci culturali che impediscono di “immaginare altrimenti” la realtà. Dentro la cornice di un’impostazione tecnica ed economica della vita – per la quale ciascun vivente è privo di valore intrinseco e assume la sua funzione esclusivamente come risorsa da sfruttare e disciplinare – vengono a mancare le premesse indispensabili per agire politicamente. Fino a quando accetteremo di organizzare l’esperienza aderendo al codice stesso della civiltà dell’accumulazione (dove convivono il potenziamento acefalo della tecnica e l’accrescimento perpetuo dei profitti privati), siamo destinati a oscillare tra un blando riformismo e la cieca adesione ai diktat neoliberali.

Le forze che aspirano a trasformare il sistema, e a traghettarci verso una società solidale e realmente sostenibile, non possono che porsi la questione delicatissima dei modi con cui pensiamo, sentiamo e diamo forma all’esperienza. Senza filosofia, psicologia, antropologia e altri contributi che esulano dalla gabbia dell’economicismo fine a se stesso, tutto il nostro essere rimane in balia delle parole d’ordine del potere: controllo, crescita/sviluppo, “prima noi”, respingimento, espansione, innovazione, austerity e così via. Dove volgere lo sguardo per ritrovare fiducia e voglia di fare-mondo in maniera alternativa? Ce lo suggerisce uno splendido libro, che consiglio a tutte/i: Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, opera collettiva uscita da poche settimane per l’editore di Napoli-Salerno Orthotes. Una lettura impegnativa che rincuora ed esalta la sete di giustizia. Il volume riporta innumerevoli testimonianze dai vari continenti, che ci convincono del fatto che già esistano sul pianeta alternative credibili al tecno-capitalismo. L’accento sulle differenti visioni della realtà, e sull’importanza di un rapporto più profondo e incantato con essa, suggerisce che la lenta fuoriuscita dal peggio è cominciata e si nutre di nuove energie. Non si tratta semplicemente di mettersi in scia, ma di maturare pratiche originali di lotta e di pensiero che contribuiscano, a loro volta, ad arricchire il mosaico delle alternative. Il movimento Dipende da Noi, credo, è nato soprattutto per questo.

Paolo Bartolini

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