Il peggior rischio per la salute umana e ambientale (ma saranno poi mai separabili?) deriva dalla mancata gestione che una comunità dedica ai rifiuti prodotti nel proprio territorio.
Perché allora c’è tanta evidente difficoltà ad affrontare e risolvere un problema con così gravi ed evidenti implicazioni? Sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un apparente paradosso. I rifiuti sono brutti, sporchi e pericolosi, non gestirli li rende ancora più brutti, più sporchi e più pericolosi, ma intere comunità locali, associazioni ambientaliste, singole persone più o meno organizzate insorgono, protestano, ricorrono per vie legali contro le autorizzazioni ad impianti dedicati alla gestione di tali rifiuti, che siano biodigestori, inceneritori, discariche, poco sembra importare, il tutto in nome della difesa della salute, del paesaggio, dell’ambiente.
È veramente un paradosso o c’è una chiave di lettura che ci consente di andare oltre la solita interpretazione in termini di NIMBY, BANANA e NIMTOO?
A me sembra piuttosto evidente che l’autorganizzarsi delle comunità in difesa della salute e contro la gestione dei rifiuti chiama in causa i processi e le dinamiche di partecipazione all’interno della comunità stessa. Mi chiedo dunque se il tema della “partecipazione” o meglio della sua mancanza non possa essere adotatta come chiave di lettura.
A questo punto però è necessario chiarire è il significato di partecipazione, termine che è viene usato spesso in modo sbagliato e distorto. Pur prendendo atto che con questo termine, si intendono molte cose; qui vorrei considerarlo come l’insieme delle possibilità riconosciute al cittadino – sia al singolo che alle diverse formazioni sociali in cui si esprime – di influire sui processi di azione politica e sui loro esiti (vedi articolo Processi partecipativi e gestione dei rifiuti – parte 1° “come potrebbe essere” ).
Nel 2006, abbiamo assistito a una nuova profonda trasformazione della normativa nazionale sui rifiuti. Il D.Lgs 152 del 3 aprile 2006 – Testo Unico in materia Ambientale – conosciuto anche come Codice dell’Ambiente, ha ridisegnato il Decreto Ronchi, recependo altre 8 direttive comunitarie. Tale legge prevede molto chiaramente che si debba “favorire la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di piani e programmi in materia ambientale” (art. 4 comma 5).
Il primo momento di pianificazione della gestione dei rifiuti è rappresentato dal Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti, che concorre all’attuazione dei programmi comunitari di sviluppo sostenibile, rappresenta lo strumento di programmazione attraverso il quale le Regioni definiscono in maniera integrata le politiche in materia di prevenzione, riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché di gestione dei siti inquinati da bonificare.
In generale il Piano sembra essere totalmente privo di strumenti di partecipazione. La partecipazione viene intesa solo in un’ottica di comunicazione/trasparenza/adesione della popolazione alle politiche di gestione dei rifiuti con comportamenti individuali virtuosi.
Sulla base dello scenario di produzione dei rifiuti il Piano fornisce le indicazione circa l’adeguamento della dotazione impiantistica.
Il Piano inoltre definisce i criteri per l’individuazione delle aree idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
L’individuazione dei siti idonei e non idonei nell’ambito della programmazione è fondamentale per la successiva realizzazione delle infrastrutture. Il processo, che coinvolge più Enti pubblici ed imprese private, è molto complesso soprattutto per quanto riguarda la disamina dei limiti/vincoli territoriali ed ambientali di riferimento.
Il Piano e i suoi aggiornamenti, così come previsto dalla normativa di riferimento, sarà sottoposto alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS). La VAS è un processo finalizzato ad integrare le considerazioni di natura ambientale nei piani e nei programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale e sociale, al fine di proteggere la salute e di contribuire con un migliore ambiente a migliorare la qualità della vita umana. In diversi punti la legge nazionale per la VAS prevede dei momenti di informazione, coinvolgimento e partecipazione del pubblico ai processi di pianificazione e programmazione. Tuttavia tali consultazioni sono definite più come un processo informativo che non partecipativo. Infatti l’obbligo di consultazione è considerato assolto con la messa a disposizione “delle province e delle regioni il cui territorio risulti anche solo parzialmente interessato dal piano o programma o dagli effetti della sua attuazione” e comunicando a mezzo stampa l’avvenuto deposito in modo da renderne informato il pubblico interessato..
Il fatto che siano assegnati ruoli in materia di pianificazione e di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti anche a livelli amministrativi più locali non sembra rappresentare una facilitazione verso la partecipazione.
Il livello territoriale di riferimento per la gestione dei rifiuti è definito dal cosiddetto Ambito Territoriale Ottimale (ATO) che corrisponde spesso di fatto con un territorio provinciale.
Il livello di governo delle Province non è più un vero organo rappresentativo in quanto i Consigli Provinciali non sono ad elezione diretta da parte della cittadinanza a suffragio universale, ma sono organi di secondo livello eletti solo dai Sindaci con voto ponderato in base alla popolazione del loro comune. Questo fatto produce una forte distacco tra l’organo amministrativo e il territorio di riferimento.
La distanza tra governo e territorio non viene colmata neppure a livello di organismo amministrativo dell’ATO stesso. L’assemblea che lo governa infatti, la cosiddetta Assemblea Territoriale d’Ambito (ATA) è un organismo formato dai Sindaci dei Comuni inclusi nell’ATO. Ancora una volta questo non favorisce la partecipazione. Infatti, il sistema di elezione diretta del Sindaco e il premio di maggioranza dei ⅔ presente nei comuni al di sotto dei 15 mila abitanti, ossia la maggioranza dei Comuni italiani, fa sì che quanto deciso dall’Assemblea di Ambito non venga di fatto discusso neppure nel Consiglio comunale.
Inoltre nelle ATA il peso dei Sindaci è proporzionale alle quote di partecipazione, determinate in base alla popolazione residente e alla superficie del territorio comunale. Questo fa sì che la volontà del Comune capoluogo e di pochi altri pesino molto più di quella dei piccoli Comuni, determinando un modo di operare contrario alle modalità di lavoro tipiche dei processi partecipativi.
Le presenza di incentivi economici a sostegno di determinate tipologie di impianti può anch’essa rappresentare un ostacolo alla partecipazione, con un rincorrersi di richieste di autorizzazione per la realizzazione di impianti nelle aree prive di vincoli. Ad esempio il decreto interministeriale del 2 marzo 2018 prevede che possano usufruire degli incentivi gli impianti di produzione di biometano a partire da frazione organica dei rifiuti solidi urbani purché, purché entrino in esercizio o siano riconvertiti entro il 31 dicembre 2022. L’effetto di questi incentivi con scadenza a breve è la presentazioni di progetti molto affrettati, senza nessuna cura architettonica e di inserimento paesaggistico, senza nessun processo partecipativo della comunità locale. Si ottiene inoltre una richiesta di autorizzazioni per la realizzazione di impianti progettati con una capacità di trattamento che supera quella di produzione del territorio, a fronte di una popolazione residente che, senza mai essere stata coinvolta nella pianificazione e nella localizzazione, si trova a dover ospitare l’impatto di un impianto che importerà rifiuti da altre province/regioni.
Quanto questo fenomeno possa innescare reazioni avverse da parte di comitati e/o degli stessi Sindaci dei Comuni il cui territorio vede localizzato l’impianto, è facilmente immaginabile. Si tratta della situazione perfetta per lo svilupparsi di tutte le reazioni NIMBY e NIMTOO, con Comitati della popolazione che, oltre alla pressione politica sulle autorità, hanno a disposizione solo il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) con allungamento delle procedure ben oltre i tempi che un sano processo partecipativo nelle fasi precedenti avrebbe consentito. Ne sono un esempio il proliferare di richieste di VIA per impianti combinati di digestione anaerobica/aerobica della frazione organica dei rifiuti solidi urbani per la produzione di biogas e di compost.
Questi impianti soggetti ad incentivi economici, dunque non solo sfuggono alle regole delle partecipazione, ma anche a quelle della pianificazione e nella fretta di arrivare ad operare per non perdere il treno degli incentivi, non si ha il tempo di porre la minima attenzione alla cura architettonica e di inserimento urbanistico/paesaggistico degli impianti.
Allora i rifiuti restano brutti, sporchi e pericolosi anche se gestiti.
Il nesso tra paesaggio e salute è, quindi, evidente, anche se spesso passa inosservato o non gli si dà la rilevanza che merita, vuoi perché c’è chi vede nel paesaggio poco più di una scenografia puramente estetica proprio come coloro che comprendono la salute come poco più che l’assenza di dolore fisico. Il degrado dei paesaggi rurali e urbani, nella misura in cui incide direttamente sul benessere della popolazione, sta provocando una crescente preoccupazione e coinvolgimento dei cittadini.
La futura pianificazione territoriale deve confrontarsi con una società pensante e coinvolgere i diversi settori (politico, scientifico e sociale) nell’assunzione di decisioni per raggiungere il benessere nei paesaggi che sono stati immaginati o pensati dalle persone che li abitano.
Maria Letizia Ruello
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