Una questione di salvezza. Questo c’è in gioco nell’impegno per una società nuova. Quando si affronta un problema sociale, ogni volta si constata che “manca una visione”. Ma per vedere davvero occorre sia riconoscere il pericolo, sia avere fede nella liberazione. Si ritiene che la fede sia solo quella religiosa e anche che sia un credere a occhi chiusi. Ma prima ancora esiste una fede nel bene comune che riguarda tutti. E ogni fede autentica apre gli occhi di chi la vive. Il primo passo per noi è riconoscere che siamo in una trappola mortale. Altrimenti si resta accecati dal contagio del neoliberismo. Un contagio potente nell’Unione europea, come dimostrano Angela Merkel e Ursula von der Leyen con la loro difesa dei brevetti e dei profitti per un vaccino prodotto con finanziamenti pubblici e vitale per l’umanità intera. I governi europei sono inebetiti dal regime di avidità universale instaurato dal capitalismo globale.
Le espressioni avanzate della nuova coscienza corale ed ecologica dell’umanità vengono per lo più da altre culture, soprattutto dall’Africa e dall’America Latina. Non a caso la visione di papa Francesco -una delle poche guide che indichi la svolta di liberazione urgente per il mondo- è maturata fuori dall’Europa. Altre espressioni della lucidità storica vengono dalle nuove generazioni un po’ dovunque, dalla Svezia al Pakistan, solo per citare Greta Thunberg e Malala Yousafzai. E poi bisogna proprio essere aridi per non vedere che la Terra, le piante, gli animali e persino il cielo stanno dicendo di no al “modello di sviluppo” della specie umana. Solo ascoltando queste voci si può imparare a vedere.
Serve una coscienza collettiva in grado di promuovere la coltivazione del futuro oltre l’accecamento ideologico. Le radici della follia oggi al potere sono profonde. La globalizzazione è stata l’occidentalizzazione del mondo e il cuore dell’Occidente è storicamente l’Europa. È passato di qui il contagio dell’antico nichilismo radicato nella cultura europea, che ha sempre avuto scandalo della possibilità della salvezza come liberazione dal male. Gli antichi si sentivano abbandonati dagli dei; i medioevali credevano in un Dio meritocratico e vendicativo; i moderni hanno sostituito al desiderio di salvezza la volontà di potere legittimandola con i miti del progresso, della crescita illimitata e della magica tecnologia.
Eppure non è così misterioso quello che la vita chiede a chiunque. Chiede di andare oltre l’egocentrismo per dedicarsi al bene comune. A prescindere dal fatto che la morte sia la fine di tutto oppure no, a prescindere dal credere o non credere in un’entità divina, questo passaggio di vita è chiesto a tutti per sperimentare che siamo salvi quando alimentiamo il bene di altri. Questa svolta è già salvezza interiore ed esistenziale, perché chi vive così non esiste invano e dà senso alla vita. È già salvezza etica e storica, perché chi vive così consente all’umanità di non distruggersi e intanto aiuta qualcuno a non essere travolto da ciò che stava per colpirlo.
Non sto evocando alcun messianismo né un facile ottimismo. Dico invece che il mondo viene salvato giorno per giorno da quelli che danno seguito alla fede nel bene comune. Niente che sia meno radicale di una fede può motivare adeguatamente chi lotta per il futuro vero. Si tratta di una fede accessibile a chiunque, che si sprigiona con la libertà interiore dalla disperazione. Per quanto vogliamo essere alternativi, finché restiamo convinti della supremazia del male giriamo a vuoto entro un attivismo sterile, perché l’energia che ci muove è quella disgregativa dello sconforto e del rancore. Se invece in cuor nostro sappiamo che mai la dignità umana è stata del tutto cancellata, che mai è esistito un potere assoluto e permanente, che infine il bene comune è indistruttibile, allora siamo pronti a fare la nostra parte nella società. E riusciamo a generare azioni che concretizzano la possibilità di vivere insieme, umanamente e con giustizia, su questa terra.
Roberto Mancini per Altraeconomia del 13 febbraio 2021
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