Oggi sappiamo che il nostro presente è marchiato a fuoco da un insieme di crisi intrecciate di portata epocale. Disuguaglianze, cambiamenti climatici, disastri ecologici, flussi migratori, invasività delle tecnologie digitali nelle nostre vite, aggressione ai beni comuni perpetrata dagli interessi dei soliti noti. Questo e altro denuncia il fatto che la società di mercato e il capitalismo neoliberista non sono compatibili con una vita degna su questo pianeta.

Eppure non è facile, per tutte/i coloro che hanno cuore la giustizia sociale e ambientale, trovarsi e dare peso alle proprie istanze di liberazione. Lentamente stiamo comprendendo che solo fuori dall’economia del profitto possiamo sperare di abitare la complessità in maniera più armoniosa e solidale. Si tratta, insomma, di gettare i semi per una fioritura umana che oltrepassi le leggi autoreferenziali del ben noto “produci/consuma/crepa”. Credo che, sul piano dell’immaginario collettivo (conscio e inconscio), l’impresa vada accompagnata con una parola d’ordine spesso trascurata, ma realmente rivoluzionaria: liberare il tempo. Non abbiamo solo un grande bisogno di ridistribuire la ricchezza sociale in maniera equa, garantendo la gestione pubblica e comune di quei beni (acqua, aria, suolo, informazione, internet, sanità…) che i gruppi capitalistici vogliono privatizzare e sequestrare per il loro utile; abbiamo anche la necessità di liberare le persone da un’impostazione – quella del lavoro salariato – che colonizza il tempo, che riduce la loro esistenza a ritmi assurdi privandoli di momenti da dedicare al riposo, alla creatività, all’amore, all’impegno politico e civile, all’arte, allo sport, alla meditazione, allo svago, allo studio e alla ricerca. Dovremmo chiederci, sempre più e sempre meglio, come vorremmo vivere in una società liberata dai dogmi della prestazione, dalla gabbia dell’imprenditorializzazione di sé, dallo sfruttamento dei corpi e delle menti dentro processi lavorativi astratti, ottusi e finalizzati all’accumulazione di denaro fine a se stessa.

Un primo passo in questa direzione, lo ripeto con forza, è prendere a cuore l’idea di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Che la nostra stella polare sia quella che guida la Trasformazione verso attività sensate e verso un contatto aperto e gioioso con la vita tutta. Una vita che si riceve come un dono e si ricomunica nella passione dei gesti gratuiti, ben oltre la retorica velenosa dello sviluppismo e della mercificazione del mondo.

Paolo Bartolini

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