La politica è cosa nobile, ma nell’immaginario contemporaneo viene associata quasi automaticamente a interessi di corto respiro, al teatrino dei talk show, al carrierismo ipocrita. Il disimpegno e l’antipolitica hanno dunque vita facile, corrodendo le basi già fragili della democrazia. Come non arrendersi? In che modo rispondere alla sfiducia?
La risposta è là dove non ci aspetteremmo di trovarla. Non è forse la politica l’ambito delle dure opposizioni, della rabbia organizzata, della rivendicazione, del desiderio di rivalsa? Io credo che la politica e la lotta siano soprattutto fonti di gioia. Essere solidali, aprire piste nuove da esplorare, stare dalla parte degli ultimi, dei penultimi, dei soggetti fragili, è il risultato di un divenire gioioso che intravede nella giustizia l’esito migliore per la nostra voglia di vivere. Costruire insieme relazioni più umane e sensibili, rallentare lo sfacelo ecologico e proteggere tutti i viventi, liberare dal lavoro salariato e dai condizionamenti alcune ore della nostra vita per dedicarle all’arte, alla passione, alla creatività: questo e molto altro rappresenta una splendida motivazione per impegnarsi in politica.
Per non ridursi a grigi burocrati o a militanti tristi divorati dal senso di impotenza e dal rancore, dobbiamo riscoprire la forza elementare del dedicarsi anima e corpo a qualcosa che sentiamo vero e giusto. E farlo con gli altri, dialogando, spezzando e condividendo il pane, asciugando le lacrime, scambiandoci un sorriso. C’è una festosità nella ribellione che dobbiamo preservare dalla cupezza, dallo sconforto e dall’omologazione. Gioia e senso del tragico sono emozioni e stati d’animo che vanno di pari passo, entrambi necessari per rendere la politica il terreno dove la nostra umanità possa realizzarsi compiutamente.
Paolo Bartolini
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