Sabato 6 febbraio ho preso parte alla manifestazione tenutasi ad Ancona per difendere il diritto delle donne ad autodeterminarsi, e per dire No alla deriva fascistoide che, nella Regione Marche, si traduce in un attacco vergognoso alle conquiste dei movimenti femministi e non solo. Voglio aggiungere, a mente fredda, una riflessione che aiuti a leggere in maniera complessa il gesto antifascista e antisessista testimoniato nel capoluogo e in altre città marchigiane. L’occasione la traggo dal discusso intervento di un noto esponente di Fratelli d’Italia, il quale ha paventato in Regione il rischio di una progressiva sostituzione etnica ai danni dei suoi bianchissimi simili, reclamando l’urgenza di sostenere in ogni modo la procreazione tra le italiche donne. Altro che diritto all’interruzione di gravidanza, quel che serve sono le donne a casa, con la pancia gonfia e le gote imporporate di mite sottomissione al loro padrone! Il mio parere è che sarebbe un grave errore interpretare le uscite retrograde delle destre al potere come un fiotto di nostalgia fascista che si mostra approfittando dell’indebolimento degli anticorpi costituzionali nel nostro Paese. E’ anche questo, certo, ma non solo. Il punto va colto all’incrocio con le tendenze storiche in atto e con quello che ci aspetta sul piano economico e sociale nei prossimi mesi. Con lo sblocco dei licenziamenti, e il ritorno di fiamma della versione più estrema del neoliberismo e delle politiche di austerity (Draghi è il traghettatore che capitanerà il processo, con la fintissima opposizione della Meloni), ci aspettano un crollo dell’occupazione, una richiesta di nuovi sacrifici per uscire dalla crisi innescata dalla pandemia e una ristrutturazione della società finalizzata a cementare rapporti gerarchici ben precisi.

Come sappiamo sono soprattutto le donne, e lo saranno ancora, a perdere lavoro, a patire scelte verticistiche e a ricevere l’invito a ritirarsi dallo spazio pubblico per dedicarsi a quello privato (regine del focolare cercasi!). Il passaggio ricorda quei momenti storici in cui il capitalismo, dopo aver necessitato di un’iniezione massiccia di forza lavoro femminile nei suoi circuiti di produzione, rispediva le donne a casa non potendo sfruttarle adeguatamente in fabbrica o altrove. Ecco, il timore di una strisciante sostituzione etnica, e il concomitante desiderio che le nostre ragazze riprendano a sfornare prole per la gioia e l’orgoglio del maschio italiano doc, lungi dall’essere una semplice boutade estemporanea (irricevibile e disgustosa) indica esattamente le politiche che ci attendono e a cui dovremo opporci senza se e senza ma: politiche che impoveriranno le famiglie (quelle che piacciono tanto ai pro-vita e per le quali si battono con clericale zelo) e toglieranno spazi di lavoro e di partecipazione al mondo femminile, volendo convincere ciascuna donna che la sua “vera natura” è quella di realizzarsi come madre amorevole e moglie accondiscendente; politiche che causeranno disagio sociale e rabbia esplosiva. Una rabbia che va incanalata verso i migranti, verso coloro che hanno le pelle scura, responsabili immaginari della nostra perdita di diritti e benessere, ma sempre utili come capri espiatori.

Schierarsi a fianco delle donne, oggi più che mai, non significa solo rivendicare dei diritti sacrosanti contro l’oscurantismo di un passato che si riaffaccia senza vergogna, bensì ribadire con forza che sono il capitalismo e le sue dinamiche a produrre puntualmente i fascismi e i populismi che giustamente ci preoccupano. Insieme alle donne possiamo, e dobbiamo, lavorare per un’espansione dei diritti, per una nuova autodeterminazione dei popoli contro il verbo liberista che moltiplica ingiustizie, competizione e violenza. Da loro possiamo imparare che i corpi non sono terra di conquista, macchine per estrarre plusvalore, ma forme di vita intensive, aperte all’incontro, assetate di giustizia.

Paolo Bartolini

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