Mentre i nuovi governanti regionali danno prova, nelle Marche, di un’attitudine cieca e prepotente, incompatibile con i diritti delle donne e con l’intelligenza di chi abbraccia lo spirito e la lettera della Costituzione Italiana, sul piano nazionale la crisi di governo scatenata da Matteo Renzi, in nome dei soliti interessi neoliberisti e non solo di un narcisismo di stampo patologico, sfocia nel completo esautoramento della politica a favore dei tecnicalismi di mercato. Draghi è il “normalizzatore” prescelto per mettere in riga quanti si sono illusi che la crisi pandemica (ancora in corso e lontana dall’esaurire il suo potenziale stravolgente) potesse costringerci a un’inversione di rotta.
Ci aspettano mesi e anni nei quali sarà fondamentale il lavoro di resistenza creativa della società civile, se vogliamo che la tenaglia libpop (liberismo + populismo) non ci stritoli lasciando campo al peggio. Si tratta di non disperare – anche perché le passioni tristi fanno sempre il gioco del potere – e di rimettere in moto il conflitto sociale in senso generativo. La democrazia rappresentativa, senza un continuo interscambio virtuoso con la democrazia partecipata, con quella diretta e con le azioni dei movimenti sui territori, non garantisce più alcun freno alla deriva economicista del tecno-capitalismo. Sta anche a noi contribuire a una rinascita del desiderio di trasformazione e di giustizia, proprio adesso che le élite finanziarie e industriali gongolano in attesa di avere mano libera per i licenziamenti e per il saccheggio dei denari provenienti dal già controverso Recovery Fund.
Lo scollamento della classe politica dalla popolazione e dai suoi bisogni è palese e ormai strutturale. Molto ancora si può fare, ma solo tenendo viva l’intelligenza critica e la prassi trasformativa che maturano nelle situazioni concrete di ogni giorno. Siamo chiamati, allora, a testimoniare quotidianamente la vita che vorremmo, una vita liberata dalla violenza di una razionalità strumentale/calcolante che ci rende numeri tra numeri. E i numeri senza volto, lo si sa, sono facilmente sacrificabili sull’altare del tornaconto delle classi dominanti. Ribellarci a tutto questo, mentre nell’aria si spande l’odore di zolfo che accompagna puntualmente gli autoeletti salvatori della Patria, significa praticare la solidarietà dove vige l’abbandono, confliggere creativamente dove la depressione allunga le sue ombre, costruire il futuro adesso quando vorrebbero condannarci alla ripetizione dell’identico.
Paolo Bartolini
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