Pandemico è anche il malessere psicologico che la situazione odierna diffonde in tutta la società, con particolare crudezza tra i giovani, costretti a un isolamento difficile e a disertare i luoghi educativi tanto importanti per la loro crescita. Poco si parla delle conseguenze sugli equilibri già fragili delle persone, presi come siamo dal necessario compromesso tra salute e libertà individuali. Dobbiamo e dovremo pensare seriamente al disorientamento creato, trasversalmente, dal combinato disposto del virus Covid-19 e delle misure restrittive finalizzate a contenere il contagio. In particolare sarà centrale la domanda su come rimettere al centro delle relazioni umane il corpo, la nostra realtà materiale, che è sempre animata e intrisa di un profondo bisogno di riconoscimento.
In questi mesi sono lo sguardo e la voce (per quanto filtrata dalle mascherine) a comunicare l’intima connessione che ci rende umani tra gli umani. Gli occhi e le parole si incaricano di carezzare, rassicurare, mitigare la paura, stimolare il rispetto e la considerazione per gli altri. Anche nelle interminabili ore di lavoro a distanza affidiamo al dire e al guardare quel residuo di contatto che nessuno ci può e ci deve strappare.
Cosa vorrei che dicessero, nei mesi che vengono, le parole e gli sguardi di coloro che si riconoscono nel progetto aperto di Dipende da Noi? Che nessuno va sacrificato sull’altare dell’economia del profitto; che la cura di noi e degli altri è la via giusta per rinascere; che la tenerezza e la forza possono convivere; che gli avversari sono fuori ma i nemici più temibili li portiamo dentro di noi; che anziani e bambini sono entrambi il futuro per una società che voglia imparare a vivere bene e non a consumare consumandosi. Ma soprattutto che non c’è nulla di sbagliato a essere stanchi, impauriti, preoccupati, ma che sotto la cenere arde sempre il fuoco del nostro desiderio di giustizia. Un desiderio che non si accontenta e che intravede nel buio del presente le scintille di un avvenire misterioso.
Paolo Bartolini
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