IL MODO ANCOR M’OFFENDE. SCUOLA AI TEMPI DEL COVID

Della scuola stanno parlando tutti e l’impressione è che la quantità di parole, le esternazioni di sdegno e preoccupazione siano inversamente proporzionali all’attenzione vera e proficua che ad essa il Paese ha dedicato e dedica. Alcune note, dunque, per ricapitolare quanto DDN ha già detto in più di un’occasione:

  • La distrazione di fondi alla scuola pubblica, progressiva e sistematica almeno dal 2008 a oggi, denunciata in tempi non pandemici (inutilmente) da chi ha a cuore la scuola, fa sì che oggi, all’arrivo della piena, gli argini non ci siano e non siano edificabili, anche laddove buona volontà e impegno non mancano;
  • I trasporti non sono a posto: una situazione già sottodimensionata in tempi non pandemici ha mostrato chiaramente nel Covid la sua inadeguatezza; d’estate, poi, non si è fatto nulla; a dicembre, con il passaggio di responsabilità ai Prefetti, ancora nulla;
  • Molte classi sono troppo numerose: una situazione sbagliata sotto il profilo pedagogico- didattico in tempi non pandemici, nel Covid si è rivelata ingestibile;
  • Il dibattito sulla Dad  e sulla DDI tratta la questione in modo episodico, spesso sfocato: molto impreparata sotto il  profilo infrastrutturale, tecnologico, culturale prima del Covid, la scuola è adesso alla rincorsa artigianale, spesso meritoria ma sempre ancora insufficiente, di una integrazione dignitosa del cosiddetto mondo digitale nel processo di insegnamento/apprendimento: al netto di tanta ottima volontà di docenti , discenti, famiglie, si deve fare ancora  parecchia strada per rispondere in modo armonico e culturalmente adeguato con la DDI alle esigenze di chi studia;
  • Il rapporto Stato-Regioni è al collasso e lancia alle studentesse e agli studenti il messaggio implicito (quindi più  forte) che la Repubblica non c’è e tutta l’educazione civica basata sullo studio della Costituzione non è che un rituale retorico e antiquario a cui solo un ingenuo o un illuso come un professore può ancora credere: pericoloso in tempi non Covid, il progetto di regionalizzazione, fortemente voluto dalla Lega e di fatto  non osteggiato  o addirittura favorito dal CentroSinistra, determina il teatro triste  della gestione del rientro con la danza delle date di cui i ragazzi fanno le spese per primi. 

Insomma: se il contagio impedisce di tornare sui banchi, si doveva almeno essere nella condizione di poter dire: «nonostante personale in numero adeguato e accuratamente reclutato e formato, dotazioni discretamente adeguate, trasporti sufficientemente in ordine, aule ed edifici discretamente in ordine, purtroppo non si può». Questa sarebbe stata la vera lezione di Educazione Civica (nell’anno in cui il ministero teneva tanto alla formazione del cittadino da inserire la disciplina in piena emergenza a forza, senza insegnanti ad hoc, senza copertura finanziaria, senza orario ad hoc): gli studenti avrebbero imparato per esperienza che l’Italia c’è ed è una e indivisibile, che la scuola è un organo costituzionale, che la politica è organizzazione della convivenza comune previdente. Ora capiscono altro: che scelte neoliberiste coerenti nel tempo danno alla realtà un assetto che crolla silente (per alcuni) nella cosiddetta normalità e collassa fragorosamente agli occhi di tutti all’arrivo di un urto. Qualcuno sta imparando anche a difendere le relazioni con i denti attraverso i video, se altrimenti non si può; a studiare per altre vie, traghettando intatta la passione che resiste. Si cerca di imparare la resistenza a scuola online adesso ed è un tornare strano, inimmaginato, non sempre garantito, alle fondamenta di casa Italia.

Insomma: non la dilazione del rientro in sé – inevitabile, forse, date le condizioni colpevolmente preparate negli anni – ma il modo ha offeso e offende, poiché testimonia una scarsa considerazione per la cultura viva, per l’educazione delle nuove generazioni, per il futuro di tutte/i che può prendere forma solo grazie a una partecipazione consapevole resa forte dai processi di apprendimento promossi in seno all’istruzione pubblica e democratica.

 E l’offesa alla scuola – lo si capirà presto –  è offesa al presente e al futuro del Paese. 

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